Nonostante ciò, sono i secoli Diciottesimo e Diciannovesimo quelli durante i quali lo Sherry ha assunto la forma che anche oggi conosciamo: il vino è prodotto nelle bodegas utilizzando un particolare metodo di maturazione che è stato tramandato di generazione in generazione, quello delle criaderas e della solera. Si tratta di un sistema d’invecchiamento piramidale in cui il vino, dopo la fermentazione e l’addizione di acquavite, è conservato in botti che vengono scolmate e ricolmate con il passare del tempo procedendo dall’alto verso il basso. Lo Sherry pronto per l’imbottigliamento viene estratto dalla fila di botti più vicina al suolo, la solera, dove sono contenuti i vini più vecchi. La parte di vino prelevata viene sostituita con vino della fila superiore, la criadera, e così via, anno dopo anno. Questo metodo dinamico fa sì che i vini possano invecchiare molto lentamente e maturare per oltre 20 o 30 anni, a partire da un minimo di 2, e dare origine a una molteplicità di Sherry con una palette di colori distintiva e policroma, pur partendo sempre dalle stesse varietà di uva a bacca bianca.

Tuttavia, la durata dell’invecchiamento non è l’unico fattore che influenza il colore dei vini. Le numerose sfumature dipendono, in larga parte, dal grado alcolico che il vino base raggiunge dopo la fortificazione: lo Sherry, infatti, rientra nella categoria dei vini liquorosi sotto velo. Il vino base di partenza, prodotto di solito con uve palomino, pedro ximenez o moscatel, è secco, ha un colore paglierino molto delicato, sottili note fruttate, una gradazione alcolica di circa 11 gradi e un’acidità non troppo alta. Una volta sfecciato, però, si può osservare qualcosa di unico: durante la decantazione un film di lieviti inizia ad affiorare in superficie e a stratificarsi come una spuma morbida e densa che si espande gradualmente fino a ricoprire tutto il vino: si tratta della flor o velo.