È nella seconda metà dell’Ottocento che il vermouth perde la sua valenza artigianale e la filiera si industrializza, con numeri di produzione importantissimi, interrotti in Europa solo dall’avvento delle due guerre mondiali. Negli Stati Uniti, gli anni Venti e Trenta hanno fatto da sfondo all’affermarsi della cultura dei cocktail e durante gli anni del Proibizionismo il vermouth acquisì grande risonanza, perché era una bevanda alcolica legale che poteva essere usata nella mixology; di conseguenza tutti i drink a base vermouth rimasero in voga.
Terminate le ostilità belliche, in Italia il settore tornò a ravvivarsi per opera di alcuni imprenditori coraggiosi, tra cui Silvio Turati, che si adoperò anche promuovendo e mettendo a punto campagne pubblicitarie di classe e d’avanguardia, coinvolgendo i più celebri artisti e cartellonisti dell’epoca per firmarle, su tutti Marcello Dudovich e Armando Testa, e assumendo sponsor prestigiosi e riconosciuti in tutto il mondo come Totò o la squadra ciclistica di Fausto Coppi.
Oggi il vermouth si presenta con vari stili: rosso o bianco, dolce, dry ed extra-dry; dal 2017 possiede un’indicazione geografica registrata e la legge italiana ne regolamenta la gradazione e la composizione: il titolo alcolometrico non dev’essere inferiore al 16% vol. né superiore a 22% vol.; l’infusione deve sempre contenere artemisia e deve avere una base composta per almeno il 75% da vino bianco dolcificato e aromatizzato. La percentuale di zucchero è disciplinata, ma varia a seconda del tipo di vermouth.
La storia di questo vino, il suo ruolo sempre attuale nella cultura della mixology e la sua versatilità l’hanno reso una componente iconica del mondo degli spiriti che continua a essere un ingrediente irrinunciabile del bere miscelato.
Il Piemonte è anche la culla di un altro grande vino aromatizzato, il Barolo chinato, che nasce alla fine dell’Ottocento nei laboratori di Giuseppe Cappellano, farmacista ed erborista di Serralunga d’Alba. Alla ricerca collabora anche il monfortino Mario Zabaldano e i due, fini conoscitori delle proprietà terapeutiche e organolettiche delle singole droghe, intuirono nella fondamentale sinergia tra le spezie e il vino prodotto a partire da nebbiolo un sicuro sviluppo di principi attivi capaci di stimolare la secrezione salivare e del succo gastrico, aiutando i processi digestivi e svolgendo l’azione di tonico. Considerando la ricchezza tannica del nebbiolo, che concorre peraltro a determinare la struttura finale della bevanda, l’aggiunta di zucchero, erbe officinali, frutti e spezie quali corteccia di china, rabarbaro, radice di liquirizia, buccia d’arancia, genziana e cardamomo, il risultato finale è, tuttora, un vino aromatizzato corroborante di grande equilibrio e dai toni delicatamente amari molto apprezzato a fine pasto, come digestivo, o come aperitivo.