Tra questi il celebre Codice di Hammurabi, che riporta i giusti prezzi per le birre e stabilisce norme puntuali relative alla mescita nei pubblici esercizi, oltre alla condanna all’annegamento per l’ostessa sorpresa ad annacquare la birra. La produzione della birra era in prevalenza in mano a piccole attività, spesso si trattava di “locandiere-birraie” che nel retrobottega producevano le birre e le vendevano nella loro locanda. Una sorta di antico brew-pub in mano quasi soltanto a donne, tant’è che presto le divinità della birra sarebbero diventate proprio figure femminili, come la dea Nidaba o la dea Ninkasi.
Dalla Mesopotamia la produzione di birra si estese in Egitto. Qui – come del resto quasi ogni altra attività produttiva – la produzione iniziò ad assumere i caratteri di un’industria, con una rigorosa organizzazione dei compiti dei vari operatori.
Crescono le quantità di prodotto e la birra inizia a viaggiare più in fretta. Bevevano birra Etruschi, Greci e Romani, i quali la chiamavano “vino d’orzo”. Plinio il Vecchio rimproverava ai suoi concittadini l’abitudine di ubriacarsi di birra egiziana, la cui schiuma era usata come cosmetico dalle dame romane. Altri, per esempio Tacito, erano feroci avversari della birra: il grande storico la definiva una bevanda che aveva il sapore del vino corrotto e alterato, adatta solo per genti barbare!

A partire dal tardo impero romano, ma soprattutto nel Medio Evo, la birra ebbe grande fortuna soprattutto nei paesi nordici. A ben guardare, si trattò di una semplice e naturale conseguenza: dove la vite faceva fatica a germogliare, l’orzo e la sua naturale trasformazione in birra prendevano il sopravvento. È probabilmente anche per questa stessa ragione che esistono paesi ad alta tradizione enoica e altri ad alta tradizione brassicola, e vi sono pochissime sovrapposizioni.

Nel Medio Evo i primi veri esperti di tecnologia produttiva della birra furono i frati di conventi e abbazie dell’Europa Centrale. Benedettini, Cistercensi e Francescani coltivavano l’orzo, producevano birra e raccoglievano osservazioni scientifiche sulla fermentazione, le materie prime e la qualità della birra. È d’obbligo citare suor Ildegarda di Bingen, suora benedettina, naturalista, letterata e musicista, che attorno al 1150 d.C. approfondì importanti studi sull’utilizzo del luppolo come ingrediente fondamentale nella birra, scoprendone le capacità antisettiche e antiossidanti; oppure i monaci dell’abbazia di Weltenburg, grazie ai quali si studiarono i benefici della maturazione a freddo della birra, che avrebbe dettato le basi della “lagerizzazione”. Prima della decisiva introduzione del luppolo come materia prima fondamentale, era il gruyt a fare le veci di “amaricante” e “aromatizzante” nelle birre: si trattava di una miscela di erbe aromatiche e spezie, in continuo mutamento nelle varietà e proporzioni a seconda della stagione e del luogo di produzione.