Per esempio, per quanto riguarda il sangiovese, sono oggi 130 cloni iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di vite, distinti con numeri e sigle che fanno riferimento all’ente costitutore, e numerosi sono anche quelli di pinot nero (circa 70 tra cloni italiani e francesi), nebbiolo (45), barbera (32), vermentino (circa 40 tra cloni italiani e francesi), trebbiano (25) e chardonnay (circa 60 tra cloni italiani e francesi).
Spesso si sente parlare di vitigni autoctoni e alloctoni, in particolare dei primi, anche se si tratta di una distinzione abbastanza approssimativa, perché per la maggior parte delle varietà non è semplice risalire a un’origine certa.
Secondo la l. del 12/12/2016 n. 238 (Testo unico della vite e del vino), all’articolo 6, “per vitigno autoctono italico o ‘vitigno italico’ si intende il vitigno appartenente alla specie Vitis vinifera, di cui è dimostrata l’origine esclusiva in Italia e la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate del territorio nazionale”.
Questa definizione è molto restrittiva, vista anche la continua evoluzione della ricerca genetica, che fornisce informazioni sempre nuove sull’origine delle varietà. Il termine sta quindi assumendo un’accezione più ampia, in quanto si riferisce a un vitigno che da molto tempo, almeno alcuni decenni, viene coltivato in un determinato territorio.
Esempi di vitigni autoctoni sono albana, schiava, grignolino, croatina, fiano, brachetto, barbera e nebbiolo; per altri, invece, l’origine è meno certa, come nel caso di moscato, aglianico, primitivo e vermentino.
I vitigni alloctoni o internazionali sono di più immediata identificazione: sono quelle varietà come chardonnay, sauvignon blanc, riesling, cabernet franc e cabernet sauvignon, merlot, pinot nero, syrah e altre, che sono ormai presenti in ogni continente in cui si coltiva la vite.