L’individuazione di una procedura non adottata fino a quel momento, consistente nella coltivazione di appezzamenti a vigneto con l’esclusivo scopo di realizzare il miglior prodotto da distillare, ha portato il legislatore a emettere il d.m. 20 ottobre 1984, in cui di stabilisce che "l'acquavite o distillato di uva è ottenuta dalla distillazione del mosto fermentato di uve fresche in presenza delle parti solide dei grappoli", classificandola quindi nei distillati di frutta.
Il procedimento di distillazione prevede grande cura e attenzione, nella quasi totalità delle volte secondo la procedura della distillazione discontinua, con l'utilizzo del bagnomaria (caldaie con intercapedini calde) o del riscaldamento a vapore. Il taglio delle teste è modulato in modo da estrarre una grande quantità di aromi primari, che rendono esclusivo questo distillato di grande delicatezza e attraenza. Già con un alcolimetro che segna il 55-60% in genere il processo viene interrotto proprio puntando a preservare la componente aromatica, che non dev'essere "appesantita" da altre sostanze in genere più vicine alla "coda".
Le uve, raccolte al giusto grado di maturazione, vengono di solito pressate molto delicatamente per non arrivare a stressare le bucce da avviare alla fermentazione insieme al mosto da esse estratto. Questa "pasta", dopo la fermentazione, è avviata a una distillazione che segue le cure e le cautele sopra descritte.
L'acquavite che si ottiene al massimo presenta una percentuale in alcol tra il 65 e il 70%. A volte le acqueviti d'uva sono invecchiate in legno, ma anche questo processo è gestito attraverso l'uso di barrique o altri contenitori le cui essenze pregiate sono capaci di esaltare lo spettro aromatico del distillato, senza deviarlo verso opulenze o robustezze che ne offuscherebbero l'identità.