La scelta del versante collinare per l’impianto e l’orientamento dei filari, modificando l’ombreggiamento del suolo e della chioma, possono influire sulle caratteristiche finali dell’uva e sulla qualità, in funzione degli obiettivi enologici.
La scelta della quota, nei limiti imposti dai disciplinari di produzione, è importante, perché le quote più basse portano ad avere maggiore disponibilità idrica, ma anche un maggiore ristagno di umidità e un rischio superiore di danni da gelate tardive. Quote più elevate portano temperature medie più basse, utili a salvaguardare l’acidità, e maggiore escursione termica, fondamentale per la qualità, ma hanno in genere una minore disponibilità idrica anche per una ventilazione a volte eccessiva, che può disidratare troppo la pianta.
Tutti questi elementi contribuiscono a formare il microclima del vigneto, fattore fondamentale nel definire l’ambiente di ogni piccola zona, nel quale intervengono anche la composizione chimica, la struttura fisica e la componente microbiologica del suolo, che, nell’insieme, delineano il carattere specifico di ogni territorio.
Dallo studio delle interazioni tra la vite e l’ambiente è nato, qualche decennio fa, il concetto di zonazione, cioè una serie di analisi territoriali per valutare la vocazione alla produzione di qualità di un territorio. Il cardine del lavoro di zonazione è lo studio dell’interazione tra vitigno e ambiente, in funzione degli obiettivi enologici. Rientra tra le zonazioni l’individuazione e la definizione, in numerose zone a denominazione d’origine, delle Unità Geografiche Aggiuntive (UGA), che possono essere riportate in etichetta come Menzioni Geografiche Aggiuntive (MGA). Ciascuna unità geografica è caratterizzata da caratteristiche pedoclimatiche uniche, che definiscono la qualità del prodotto finale. Si possono ricordare quelle di Barolo, Barbaresco, Dogliani e Roero in Piemonte, del Soave in Veneto e del Chianti Classico in Toscana.