La viticoltura in Grecia fu introdotta dall’Egitto o dall’Anatolia occidentale intorno al III millennio a.C. I Greci erano abili viticoltori ed ebbero un ruolo importante nella diffusione della cultura enologica e viticola. Nella cultura greca il vino era consumato da tutta la popolazione, sia dai ricchi sia dai poveri, ed era l’elemento centrale nei simposi. Ai Greci è inoltre attribuita l’intuizione di aggiungere al vino resine ottenute da altre piante per limitarne l’ossidazione.

L’introduzione della viticoltura in Italia risale al VII secolo a.C., quando i Greci colonizzarono l’Italia meridionale e chiamarono queste colonie Enotria, cioè “terra del vino”, perché erano zone molto adatte alla coltivazione della vite. All’inizio la viticoltura nell’impero romano non era così diffusa, soprattutto se confrontata con la viticoltura dell’antica Grecia. Un contributo alla cultura viticola romana fu dato anche dagli Etruschi. In Etruria si sviluppò un centro enologico locale, in parallelo a quello greco, ma la vite era
coltivata su tutori vivi, cioè alberi di altre specie. In seguito alla conquista della Gallia da parte Romani, per conservare e trasportare il vino s’introdusse l’utilizzo delle botti di legno, che erano già utilizzate dai Galli per la produzione della birra.
I Romani produssero molte opere sulla coltivazione della vite e la produzione di vino. A loro si deve la diffusione della viticoltura nei territori europei di Francia, Germania e Spagna. Nell’impero romano il consumo di vino era esteso anche alle classi sociali più umili e persino agli schiavi. La produzione era più quantitativa che qualitativa, come testimoniato dall’editto di Domiziano nel 92 d.C., che limitava la produzione di uva a favore della produzione di grano, poiché la quantità di vino prodotta era eccessiva e minacciava di danneggiare l’economia dell’impero. Con la caduta dell’impero romano d’Occidente, la viticoltura subì un declino in seguito al trasferimento della capitale a Bisanzio e alle invasioni barbariche, che portarono all’abbandono delle campagne.

Nel Medioevo, la viticoltura e l’enologia furono preservate dai monaci, Benedettini e Cistercensi, che continuarono a produrre vino per le esigenze dei culti cristiani, per la farmacopea e per il consumo personale. Il consumo era comunque limitato ai ceti nobili e ricchi. La coltivazione della vite si concentrò così nelle zone a nord delle Alpi, che pure erano meno ospitali per la vite, a causa delle invasioni musulmane nella parte meridionale dell’Europa e del relativo diffondersi dell’islamismo, che vietava il consumo di vino.