Di conseguenza, dolcezza è un po’ sinonimo di linearità, continuità, equilibrio, assenza di conflitti; curiosamente, è anche punto di congiunzione tra le età più distanti del percorso di vita dell’uomo, ovvero l’infanzia e la vecchiaia, in quanto sensazione prediletta per entrambe. Ma se nel latte il Dolce percepito è prevalentemente legato alla presenza di zuccheri – il disaccaride lattosio – nel vino l’argomento è più complesso: quelli che classifichiamo come “vini dolci” sono tali per la permanenza di un significativo residuo zuccherino, come conseguenza di diverse possibili strategie di produzione: parliamo di sovramaturazione delle uve lasciate sulla pianta oltre l’epoca ottimale di raccolta, o dell’appassimento artificiale a seguito della vendemmia, su graticci al sole o in locali appositi; oppure ci riferiamo alla maggiore concentrazione degli zuccheri nel mosto a seguito di disidratazione per proliferazione della “muffa nobile”, dovuta ad attacco di Botritys cinerea; il nostro Paese vanta peraltro una antica e variegata tradizione di vini dolci molto apprezzati, a memoria inevitabile di lieti o più o meno riflessivi dopocena in compagnia: dai numerosi Moscati ai Torcolati, dai Vinsanti fino ai Recioti, agli Occhi di Pernice o al Picolit Friulano, solo per citarne alcuni. Nei vini che invece non si classificano come dolci, la dolcezza si esprime all’assaggio soprattutto in forma di calore, di pienezza, di crema, di volume; in questi casi, lo zucchero originariamente presente nel mosto – stavolta i monosaccaridi glucosio e fruttosio indicativamente nella medesima proporzione – è infatti pressoché interamente convertito in alcol durante il processo di fermentazione; la percezione dolce si comporrà dunque di sfumature diverse, ognuna legata anche alla presenza di altri tipi di sostanze – la calda ampiezza dell’alcol, la morbidezza del glicerolo, le amichevoli espressioni vanigliate provenienti da alcuni legni –; potrà altresì trovare sostegno nell’assenza di altri elementi, tipo quella di una acidità pronunciata, dalla quale discenderà un pH più elevato e un quadro sensoriale “piano”, privo di contrasti.