Sempre più spesso nel mondo accademico si sente parlare di soft skills, ovvero di quelle “competenze trasversali” che fanno la differenza sia nella performance lavorativa di una persona che nella percezione che gli altri ne hanno. Si tratta di competenze, difficili da insegnare in aula, ma che sono determinanti nel mondo del lavoro, e non solo per chi si approssima al mercato da giovane professionista.
L’abilità di parlare in pubblico, la capacità di attrarre l’attenzione e di promuovere al meglio un prodotto o un servizio, la forza mediatrice in una contrattazione commerciale e così via, rientrano all’interno di queste abilità. Si comprenderà bene quanto nel mondo dei sommelier, le soft skill giochino un ruolo cruciale. La capacità di comunicare, ascoltare e relazionarsi con gli altri è fondamentale per offrire un’esperienza memorabile ai clienti. Ma si tratta di aspetti genetici e immutabili di una persona e del suo carattere o di qualcosa di più controllabile? Queste abilità, in realtà, non sono innate, ma possono essere sviluppate e migliorate nel tempo attraverso l’apprendimento e l’esperienza. Le neuroscienze hanno dimostrato che il cervello è un organo altamente plastico, in grado di adattarsi e modificarsi in risposta alle esperienze o al semplice modo di “pensare”. La plasticità cerebrale si riferisce alla capacità del cervello di riorganizzarsi formando nuove connessioni sinaptiche durante la vita di un individuo e quindi nuovi modi di rapportarsi con gli stimoli e con gli altri. Questo fenomeno implica che la pratica costante e l’esposizione a situazioni sociali diverse possono portare a cambiamenti positivi nel modo in cui una persona gestisce le interazioni e sviluppa le proprie soft skill.