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Nel numero 45 della rivista Vitae, il filo conduttore è il linguaggio del vino: non solo come organo sensoriale ma come codice culturale e simbolico che attraversa epoche, territori e identità. L’articolo di apertura firmato da Massimo Zanichelli esplora l’evoluzione del linguaggio enologico, tra lessici tecnici, suggestioni letterarie e la sfida della comunicazione contemporanea, sempre più influenzata da algoritmi, branding e social network. Tra gli approfondimenti, spiccano le riflessioni di Gabriele Gorelli&nbsp;sull’affermazione dei vini inglesi, protagonisti di una sorprendente ascesa qualitativa e identitaria. Fabio Rizzari ci conduce nel cuore delle Langhe con un confronto tra due visioni del Barbaresco, mentre Roberto Cipresso ci accompagna in un viaggio sensoriale dedicato al “salato”, esaminando il suo ruolo nella degustazione e nella memoria emotiva. Morello Pecchioli dedica un gustoso racconto al melone, alimento stagionale ricco di storia e simbolismo, tra aneddoti gastronomici e riflessioni culturali. Segue l’itinerario enoturistico firmato da Betty Mezzina sul Monte Conero, tra viticoltura, biodiversità e sapori tipici, mentre Luigi Caricato lancia un provocatorio appello per la creazione di un nuovo “parOLIere”, un lessico più libero e creativo per raccontare l’olio extravergine di oliva. Non mancano le esplorazioni internazionali: Roberto Bellini analizza con profondità i Grand Cru di Chablis, Riccardo Antonelli racconta le birre fiamminghe Oud Bruin e Flanders Red Ale, mentre Bruno Petronilli ci conduce in un viaggio culinario nella Germania gastronomica contemporanea, tra ricerca, identità e creatività. Chiude il numero l’articolo di Michela Aru dedicato all’azienda Conte Collalto, esempio virtuoso di tradizione vitivinicola e sostenibilità, con un focus sul progetto Ottaviano e il nuovo Schenella, due vini che raccontano il dialogo tra tempo, territorio e innovazione. Vitae 45 è un numero da leggere tutto d’un fiato, dove ogni parola è scelta per raccontare il vino con autenticità, profondità e visione. Un invito a pensare (e assaggiare) con nuovi occhi e nuovi linguaggi.

Editoriale di Sandro Camilli

La lingua del vino di Massimo Zanichelli

English Wine, heritage al contrario di Gabriele Gorelli MW

Melone, il bello di stagione di Morello Pecchioli

Barbaresco. Due visioni dell’altro signore di Langa di Fabio Rizzari

Viaggio nei sensi. Il salato di Roberto Cipresso

Cinque parole per un vino nuovo di Stevie Kim

Kreativität di Bruno Petronilli

Chablis e i suoi Grand Cru di Roberto Bellini

GNCVO. Una giornata urban style di Emanuele Lavizzari

It.nerari: Infinitamente Conero di Betty Mezzina

Historia magistra vitae - Et vitis di Michela Aru

Hopinionista Flanders mix. di Riccardo Antonelli

L’Osservatolio: Un nuovo parOLIere di Luigi Caricato

Photo & Co.

Kreativität. Bruno Petronilli Tecnica, creatività e spirito di ricerca: i protagonisti di una cucina che sfida ogni stereotipo e si apre al mondo hanno in comune solo una cosa, l’idioma. Partiamo dalla premessa, che poi è uno degli stereotipi più abusati della comune narrazione, un cliché adatto ad ogni campo dello scibile umano: i tedeschi hanno nel loro Dna l’efficienza, il rigore, la serietà. Poca, o nessuna, fantasia, creatività, brillantezza. Se in molti campi questo modello comportamentale è plausibile, è proprio nella cucina che possiamo sfatare il mito del “crucchismo” assolutamente privo di fantasia ed estrosità. Il nostro viaggio parte da Roma, si concluderà a Berlino. Un asse che desta ricordi spaventosi, ma qui non si parla di storia o politica, solo di grande, grandissima cucina tedesca, che spesso fa fatica a fare notizia. Eppure, va annoverata fra le più importanti del mondo e nel ranking Michelin si colloca inopinatamente al quarto posto, subito dietro l’Italia e addirittura davanti alla Spagna. Negli ultimi anni si è fatta avanti una generazione di professionisti decisamente nomadi nel curriculum e nel pensiero, così lontani da quella noia teutonica che si è spesso portati ad affibbiargli. Ed il primo non poteva che essere il “nostro” Heinz Beck, chef nato a Friedrichshafen e formatosi a Passau e Altötting, poi al leggendario Tantris di Heinz Winkler, dove ha contratto le basi del classicismo. Sono ormai passati trent’anni da quando, appena ragazzo, ha messo piede nel Belpaese, senza parlare una parola di italiano, ed è subito approdato alla Pergola del Rome Cavalieri, che non ha mai abbandonato e dove ha conquistato le tre stelle nel 2005. Ormai naturalizzato, definisce la sua cucina “italiana” e sfodera una creatività particolarmente felice nei primi piatti, come il celeberrimo fagottello “Pergola”, la cui pasta sottilissima custodisce un cuore di salsa carbonara, nella classica inversione fra interno ed esterno. Se tuttavia qualche anno fa la sua cucina sembrava incamminata sul viale di un’eccellenza un po’ scontata, oggi, dentro un locale interamente rinnovato, sfodera una giovinezza incalzante, più vigorosa dei tanti allievi che ha sparso in giro per il paese.

Il linguaggio del vino tra storia, cultura e modernità. Approfondimenti e racconti esclusivi nel nuovo numero di Vitae.