Historia magistra vitae - Et vitis. Michela Aru Il latino è una lingua che appartiene al passato. Eppure, continua a parlare. Lo fa nei lessici specialistici, nei motti araldici, nei titoli di studio e, talvolta, in quelli degli articoli, come questo. Vive in una forma diversa, capace di generare senso anche se non produce più parole nuove. Mi è venuto spontaneo, dato il tema di questo numero di Vitae, riflettere sul paradosso del latino per raccontare una storia che ne condivide il respiro. Nel cuore del Veneto, a Susegana, c’è una collina attorno alla quale il tempo non scorre soltanto: affina. Qui, dove il Castello di San Salvatore abbraccia il panorama trevigiano e domina la pianura fino a Venezia, la vite è radicata tanto nella terra quanto nella storia. Sempre qui, l’azienda agricola Conte Collalto custodisce una preziosa memoria e la imbottiglia sotto forma di racconto liquido per il futuro. Dal 958, quando Re Berengario la donò alla famiglia Collalto, questa terra è stata coltivata e protetta dalle stesse mani, trasformata ma mai tradita. Mille anni ininterrotti di vitivinicoltura: un record, certo, ma senza dubbio una vocazione. E sia tra le mura della cantina, sia nei trecento ettari della proprietà, la modernità affianca ed esalta tale passato, rendendolo protagonista di un dialogo corrente. Ecco cosa si respira visitando Conte Collalto. Storia e attualità sono forze complementari che cooperano, dalla vigna alla bottiglia. Solo metà della tenuta – circa 150 ettari – è destinata al vigneto. Il resto è mantenuto a bosco, spazi per gli animali e percorsi aperti a tutti per preservare biodiversità, equilibrio ambientale e una pacifica bellezza. La cantina, interamente alimentata da energia rinnovabile, è dotata di impianti a controllo automatico, celle termoregolate e sistemi per la razionalizzazione dell’acqua.