Ed il comportamento di questi giovani fu eccezionale nonostante la durissima realtà nella quale erano stati catapultati contro la loro volontà e lasciati soli dall’Italietta irresponsabile di quei tempi bui, costretti a quasi due anni di non vita e di molta morte. Ma a questo punto, per tentare di far conoscere al lettore dall’interno e nell’intimo le caratteristiche fisiche e psicologiche dell’inferno dei lager nazisti credo sia importante ricorrere ad alcune frasi e citazioni di uno scrittore che, per sua sventura, visse quegli eventi, ovvero Giovannino Guareschi, l’inventore degli indimenticabili Peppone e Don Camillo, tratte dal suo “Diario clandestino” pubblicato da Rizzoli nel 1982. Guareschi, che condivise con Paolo Desana il lager di Wietzendorf, scrive: “La Patria si affacciava ogni tanto dalla siepe del filo spinato ed era vestita da generale: ma sempre veniva a dirci le solite cose, che il dovere, l’onore, la verità ed il giusto non era nella volontaria prigionia ma in Italia dove petti di italiani aspettavano le scariche dei nostri fucili. Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà”.