Scenografica e scintillante, almeno nei mesi estivi e nelle giornate di sole pieno, la Riviera Ligure di Levante è una successione di coste famose e famosissime: Golfo del Tigullio, Golfo dei Poeti, Cinque Terre. Queste ultime sono talmente imbottite di turisti tra maggio e settembre – la popolazione decuplica addirittura rispetto al periodo invernale – da suggerire alla Provincia per il futuro un ampliamento amministrativo in Dieci o, magari meglio, Undici Terre. Esiste però un Levante più intimo, raccolto e misterioso; basta addentrarsi verso l’interno. Una ventina di metri di addentramento sono sufficienti: qui il paesaggio si innalza vertiginosamente a poca distanza dal mare. Ci si ritrova così in un contesto alieno al turista vacanziero della spiagge. Nei fatti, sull’Appennino ligure. In un’area isolata di una frazione di una borgata di un sestiere di un quartiere di un paesino, si ergono le tre case di Salino. Delle quali fa parte l’azienda La Casetta (la scelta del nome denota l’acume, la modestia e il senso della realtà dei titolari). Qui si fa vino all’insegna di una naturalità che poco ha a che vedere con il concetto hipster metropolitano à la page (e redditizio per il marketing) dei vini naturali. Un singolo ettaro di vigna, che ospita in maniera scapigliata un po’ di tutto; come annota Fiorenzo Sartore – cui dobbiamo la preziosa dritta – nel suo Diario Enotecario: «Curioso mix di uve ‘c’è quel che c'è’, dal syrah al dolcetto al pinot nero al cabernet (a un certo punto ho smesso di scrivere, tanto ce n’erano troppe da segnare)». Noi s’è trovato ombroso, caratteriale e buonissimo il Liguria di Levante Rosso Salino.
Qui si fa vino all’insegna di una naturalità che poco ha a che vedere con il concetto hipster metropolitano à la page (e redditizio per il marketing) dei vini naturali
L’avvio dei motori aromatici è piuttosto ingolfato, il vino si esprime con una certa riluttanza ed è avvolto in una nebbia di odori forti e scuri (liquirizia, grafite, terra umida). Bastano pochi minuti di confidenza con il bevitore per farlo sciogliere in note più ariose di erbe dell’orto, genziana, mirto, e successivamente in aromi delicatamente fruttati (visciola). Al palato ha sostanza e insieme bevibilità sicura, bella progressione e finale di notevole spazialità. Insomma: si beve, si beve, si beve.