GRACE ROSATO
ARCARI & DANESI

In tutta franchezza, non è che tra noi e i vini rosati sia stato amore a prima vista. Anzi, per dirla tutta, a fronte di un rapido crescendo di popolarità della tipologia anche nei gusti degli addetti ai lavori, noi abbiamo continuato per anni a liquidare la faccenda come pretestuosa e modaiola. Di molti rosati soffrivamo i profumi artificiosi quando non smaccatamente caricaturali, la silhouette sottile quando non esageratamente smagrita, il sapore elusivo quando non deliberatamente reticente, il finale corto (quando c’era un finale).

A noi piace pensare che il nome contenga anche un riferimento alla nozione di grazia espressiva, così vitale per la riuscita di un vino

Faticavamo a vincere il sospetto che ad alimentare questa tendenza ci fosse il più delle volte un arrangiato cabotaggio di retroguardia, una furbesca scorciatoia imboccata dai produttori per fare cassa, magari dietro l’astuto consiglio dello smaliziato consulente di turno. Forse nei modi spicci e talora supponenti con cui liquidavamo la pratica rosato si annidava anche un po’ di snobismo, come se volessimo scongiurare l’eventuale obiezione: «Ma come? Ti atteggi a intenditore e ancora perdi tempo coi rosati?». Ma insomma, oggi è tutta un’altra storia. Da un lato l’offerta si è fatta più varia, vivace e stimolante, è innegabile; ma va riconosciuto che siamo cambiati molto anche noi. Quei tratti che talvolta avevamo liquidato un po’ superficialmente come segni di incompiutezza del rosato, oggi siamo finalmente in grado di apprezzarli come qualità. Prendiamo il Grace di Giovanni Arcari e Nico Danesi: ci dicono che il nome tragga ispirazione dalla Grand Central Station di Manhattan, realizzata con il marmo di Botticino, luogo d’origine della più storica denominazione bresciana, che ormai si riduce solo a una trentina di ettari di vigneto. A noi piace comunque pensare che il nome contenga anche un riferimento alla nozione di grazia espressiva, così vitale per la riuscita di un vino, specie se rosato. Quella grazia che troviamo qui come innervata di contrappunti più aspri e selvatici, che la sottraggono alla deriva di un addomesticamento artificioso. Dipenderà certo dalla pergola di oltre settant’anni, dalla matrice calcarea dei suoli, dalla composizione dell’uvaggio, dall’aver rinunciato alla vinificazione tramite salasso per lavorare solo uva intera. Resta il fatto che Grace rimodula con originalità la delicata piacevolezza di un vino leggero e spensierato. E si beve in un sorso.