RABOSO
BELLESE

I produttori della FIVI, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, vanno fieri di essere indipendenti da parecchie cose: a cominciare dalla gabbia normativa delle denominazioni di origine controllate; controllate e talvolta addirittura garantite. Vero è che molti di loro nelle denominazioni ci stanno, eccome.

Uva di difficilissima doma data la significativa acidità e tannicità, rustica, sgarbata, dà vini di viperina lama acida, che – se lasciata libera di scorrazzare da una vinificazione non attenta – tende a tagliuzzare la lingua

Ma uno dei nei che macchiano il volto del vino italico sta, e non da poco tempo, nella pervicace sottovalutazione di non pochi vini ben fatti e autentici, laddove parallelamente non pochi prodotti insignificanti passano allegramente la selezione delle commissioni d’assaggio. Sono quindi indipendenti da questo, e da altri lacci e lacciuoli burocratici, anche Enzo e Desirée Bellese, giovane coppia – giovane” per i parametri dell’Occidente in decadenza anagrafica – di vignaioli veneti nelle Grave del Piave. In questa terra, che prende il nome dalle rive ciottolose o meglio sassose del fiume, producono una piccola gamma di vini, da un Cabernet a uno Chardonnay, a uno speziato Refosco, fino all’inevitabile Prosecco. Ma il loro cuore, stando al luccichio degli occhi di entrambi quando ne parlano, sembra stare con il Raboso. Uva di difficilissima doma data la significativa acidità e tannicità, rustica, sgarbata, dà vini di viperina lama acida, che – se lasciata libera di scorrazzare da una vinificazione non attenta – tende a tagliuzzare la lingua e a lasciarla insensibile per alcuni giorni. Non a caso l’etimo del nome pare derivare dall’aggettivo dialettale rabioso, cioè rabbioso. Il Raboso Bellese, spumantizzato con metodo Charmat (o Martinotti, se si preferisce il coté patriottico), ha colore rosso bluastro, molto intenso, spuma carbonica generosa, di grana grossa, profumi netti e vivi di amarena e fragola, sapore affilatissimo, leggermente incazzato, come da pedigree, ma sempre al riparo da eccessi di durezza, bilanciato da una corrente di frutto croccante gustosissima. Sta molto bene con qualsiasi cibo grasso, forse anche dello strutto mangiato a morsi. Ma trova la sua controparte naturale nei salumi più saporiti, e non arretra di un millimetro nemmeno davanti a una minacciosa martondela (sorta di salsiccia locale da quinto quarto già unta di suo, in più avvolta in una rete di maiale, tanto perché non si dica che in Veneto si abbia paura del grasso).