­CHIAR’OTTO
VILLA CALICANTUS

A

bbiamo conosciuto Daniele Delaini armeggiando con un diapason. Eravamo a Beaune, in Borgogna, nella cantina di Emmanuel Giboulot, e ad assaggiare le ultime annate di questo affascinante pioniere della biodinamica c’era anche un piccolo gruppo di nostri connazionali, soci del Consorzio Vignaioli Biodinamici (Co.Vi.Bio). Nonostante condividessimo tutti una certa familiarità con quei vini, quando Emmanuel ha tirato fuori il diapason ci ha preso in contropiede: dietro consiglio di amici vignerons, lo stava usando per contrastare i problemi di riduzione manifestati da qualche botte. Quando si dice la reciprocità. Il vino dà spesso il “la”, ma a volte se lo prende. Scioglie la briglia alle parole e ai sentimenti, fa sbocciare amori e amicizie, ma quando si chiude e si incupisce va aiutato a ritrovare le giuste frequenze. Le insospettate virtù del diapason ci hanno avvicinato a Daniele e alla sua storia. Che è la storia di tanti giovani vignaioli nati negli anni Ottanta: non provengono dalla terra, ma ci vogliono ostinatamente andare. Così Daniele. Riceve in eredità dalla zia poco più di un ettaro di vigna e capisce che è un buon motivo per lasciare il posto in banca, rientrare da Parigi e reinventarsi un mestiere e un progetto di vita. A ben guardare, in famiglia il Bardolino si era già prodotto, ma­ con la morte del nonno i suoi avevano chiuso i battenti e venduto quasi tutto.

Il vino dà spesso il ‘la’, ma a volte se lo prende. Scioglie la briglia alle parole e ai sentimenti, fa sbocciare amori e amicizie, ma quando si chiude e si incupisce va aiutato a ritrovare le giuste frequenze

Daniele ama il Bardolino: gli riconosce un ampio ventaglio di risorse, su tutte un carattere nobile e una sorprendente disponibilità all’invecchiamento. E così nel 2011 esce con le prime etichette e il suo Chiaretto si fa subito notare: è l’unico dell’intera Doc fermentato e affinato in legno, la sensazione di freddezza che l’acciaio rilascia alla corvina non gli piace. Ma il gusto del vino non tradisce affatto il ricorso alla barrique, il tatto conserva agilità, l’assetto resta verticale e l’opzione biodinamica propizia una trascinante vitalità sapido-minerale. Poco importa se qualche scienziato delle degustazioni in camera di commercio pensa bene di negargli la Doc: per quest’anno lo chiamerà Chiar’otto, ma andrà comunque avanti per la sua strada. Una strada che si fa ora più impervia e impegnativa: ci sono cinque ettari di vecchie pergole di corvina, condotte già da tempo in bio, da prendere in affitto. È un’occasione da non lasciarsi scappare. «Ci farò i vini base – annuncia Daniele – chi l’ha detto che il Chiaretto debba per forza essere un vinello?». Bravo! E avanti così.