a nostra passione per l’enogastronomia è spesso alimentata da piccole manie, quando non da vere e proprie ossessioni pronte a degenerare in sbandate destabilizzanti. Davanti a certi piatti e a certi vini siamo disposti a fare follie, chi più chi meno, con buona pace di quella distanza critica che abbiamo cercato di frequentare coltivando i nostri gusti e modulando la sintonia fine di un giudizio che vorremmo sempre più equilibrato, prospettico e tridimensionale. A noi capita ad esempio di perdere la brocca quando c’è di mezzo il pepe e il pinot nero: due elementi per i quali ci vantiamo di essere tra i massimi esperti del pianeta, laddove invece siamo palesemente dei “malati”. Lo abbiamo confidato ad Andrea Ghigliazza e a sua moglie Sabina, durante il nostro sopralluogo in Lunigiana, e si sono fatti una gran risata: uno dei loro vini combina infatti già nel nome prescelto un riferimento incrociato tanto ai profumi del pepe quanto alla finezza del pinot nero. È un vino buonissimo ma, date le premesse, se la mettiamo giù così rischiamo di essere poco credibili. Proviamo a prenderla un po’ più alla larga. Siamo nei boschi di Licciana Nardi, nella valle del torrente Taverone: qui Andrea è approdato per reinventarsi contadino, dopo un passato da chimico nell’industria farmaceutica. Con Sabina producono vino, olio e miele; e accolgono gli agrituristi nelle otto stanze del piccolo Castello dei Malaspina, minuziosamente restaurato per recuperare il dettaglio architettonico delle suggestioni medievali. Una quindicina di anni fa hanno reimpiantato due ettari e mezzo di vigneto sull’antico deposito alluvionale del fiume: si è scelto di mettere a dimora per lo più vitigni locali, tra cui vermentino nero, durella, canaiolo e pollera.
Il pepe e il pinot nero: due elementi per i quali ci vantiamo di essere tra i massimi esperti del pianeta, laddove invece siamo palesemente dei ‘malati’
Fa eccezione una piccola parcella di pinot nero da cui si ricava il Melampo, che lascia brillare il talento di Andrea nel gruppo di quei vignaioli dell’Appennino toscano che al Pinot Nero hanno dedicato una benemerita associazione. E il Pepe Nero? Flessuoso e aggraziato, ma vispo come pochi, è una vera delizia di succosità: l’esuberante scorta di frutto è innervata di freschezza balsamica, ma il finale è perfino più goloso, con un chiaroscuro speziato tutto giocato sulle note piccanti, che fa subito venir voglia di berne un altro sorso.