CHIANTI MONTESPERTOLI
PODERE DELL’ANSELMO

Sono forse maturi i tempi, dopo sette decenni di televisione e quasi tre di internet, per fondare una scienza che indaghi, studi e approfondisca i meccanismi delle pubblicità autolesionistiche. La casistica è ampia: si va dallo spot acchiappaturisti commissionato dalla Regione in cui stagliano quattro ciabattacce su uno scoglio in primo piano, al vino battezzato, con candore commovente, Mefitis.

Un pioniere, in questo campo, fu il conte Fulvio Testi (1593-1646), delizioso poeta del barocco ferrarese che scrisse un Pianto d’Italia in cui è tutto un lacrimare per la patria «serva e corrotta». Se nell’orgia di citazioni proto-pre-post-neo-rinascimentali a sostegno della storicità dei vini toscani non lo si cita mai, è perché il tono delle sue poesie encomiastiche è il seguente: «Ma se tu vieni, io de l’etrusco Chianti / pari a rubin ti mescerò rugiada / che ti bacia, ti morde e fa che cada / dolce dagli occhi tuoi gronda di pianti». Ora, di un vino che faccia grondare di pianto non vi è bisogno, anche se l’intenzione era lodevole. Piuttosto, al Chianti domanderemmo volentieri un rosso che faccia sorridere, pronto e vispo, un “vino del buonumore”. Ebbene, ne abbiamo trovato uno: il Chianti Montespertoli del Podere dell’Anselmo. È una delizia, si beve che è una bellezza, ed è proprio così: pronto e vispo. Lo produce un vignaiolo sensibile, Fabrizio Forconi, a metà strada tra Montespertoli e San Casciano in Val di Pesa, e quindi ormai in vista del Chianti Classico. Le matrici geologiche sono le stesse: ghiaie e conglomerati ricchi di calcare, che assicurano sanità alle piante e una sensazione acida nel vino che è il vero segreto, ad esempio, di questo che vi descriviamo.

Al Chianti domanderemmo volentieri un rosso che faccia sorridere, pronto e vispo, un ‘vino del buonumore’

Si tratta di un Sangiovese in purezza, il 75% del quale non “vede” legno; pur presentando nelle annate calde valori alcolici ed estrattivi medio-alti, ha una beva micidiale, soprattutto se servito sui 14-15 gradi. Sa di ciliegia, fiori viola, terriccio e felce, e scivola come raso all’assaggio, anche per merito della grana puntifome del tannino. È un’ipotesi felice di rosso per un pasto italiano senza fronzoli: lo accompagnerà con quella schietta confidenza che i Sangiovese chiantigiani sono immancabilmente felici di concedere.