ROSATO
SANGUINETO

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l primo tratto qualitativo di un vino è la leggerezza dinamica. Leggerezza non vuol dire semplicità, ma essenzialità. Leggerezza in definitiva non significa nemmeno equilibrio. Il concetto di equilibrio nel vino è una chimera enologica». Sono parole di Fabio Pracchia (I sapori del vino, Slow Food Editore 2017) ma vorremmo averle scritte noi. Raramente infatti nella lettura di un libro sul vino ci è capitato di condividere così a fondo non solo l’orientamento generale della prospettiva critica, ma la stessa articolazione del ragionamento nei suoi principali snodi problematici. Nel cuore di questo ragionamento, con una schiettezza che gli fa onore, Pracchia esplicita il suo debito di gratitudine all’indirizzo dei tanti artigiani del vino che hanno propiziato e accompagnato la presa di coscienza documentata dal libro. Artigiani e vignaioli che hanno letteralmente rivoluzionato nel giro di pochi anni lo scenario produttivo del vino italiano, «scompigliando per bene la messa in piega con cui una scuola di enologia all’avanguardia tecnologica, ma poco sensibile alla tradizione, ne aveva laccato la fisionomia espressiva». Tra questi interpreti di un vino spettinato, in equilibrio sempre precario, ma finalmente capace di rivitalizzare il legame con una brulicante diversità di tradizioni e di paesaggi, trova spazio anche Sanguineto. A ben guardare, non è la prima volta che Pracchia scrive dei vini di Dora Forsoni e Patrizia Brogi: in un delicato ritratto precedentemente apparso in rivista (Cook_inc. n. 13, novembre 2015) aveva già colto quell’originale impasto di grazia e ruvidezza che ispira il loro lavoro di vignaiole; lavoro raccontato anche da Giulia Graglia nel documentario dedicato alle donne del vino naturale, che le vede tra le protagoniste (Senza Trucco, 2011). Perché dunque tornare a parlare di Sanguineto, visto che è già stato fatto così bene? Perché a Sanguineto c’è un vino nuovo: un Rosato di insidiosa succosità, che traduce in bottiglia come meglio non si poteva quella riflessione sul legame tra leggerezza ed essenzialità a cui facevamo riferimento in apertura.

Interpreti di un vino spettinato, in equilibrio sempre precario, ma finalmente capace di rivitalizzare il legame con una brulicante diversità di tradizioni e di paesaggi

Si tratta di un’etichetta mai prodotta prima e tenuta a battesimo dalla vendemmia 2016: sarà un caso se arriva proprio ora? Sarà soltanto una coincidenza se artigiani e cronisti del vino si ritrovano oggi così spesso appaiati nell’approdo a una semplicità di ritorno, che intendono entrambi come un traguardo?