L'Oltrepò Pavese ha vissuto un’alternanza di stagioni, ogni volta di segno diverso, per decenni. La viticoltura
semplice e domestica, quella dei rossi “di famiglia” in cui ogni nucleo ne produceva uno con un nome specifico – e sono così nati il Barbacarlo, il
Montebuono, il Ronchetto, il Badalucca, la Möla, l’Oleano – non esiste quasi più. A travolgerla, negli anni Settanta, la foga produttiva, il richiamo del
mercato delle grandi città, la struttura aperta, in qualche caso prossima al sopruso, dei nuovi disciplinari. E via così, un po’ malinconicamente, tra
riscoperte dei valori artigianali dei vigneron migliori (e dello straordinario pregio di tanti luoghi oltrepadani) e il bieco sfruttamento della
situazione da parte di profittatori, locali e non. La fortuna dell’Oltrepò, pensiamo noi, e quello che gli garantirà un bel futuro, sono i suoi vignaioli,
quelli che “ci credono”, che non depongono le armi ma immaginano, progettano, e talvolta realizzano. Uno di questi è Alessio Brandolini, 34 anni; ha preso
una laurea in Enologia muovendosi tra Milano e Torino, e ha poi ripreso in mano l’azienda di famiglia, che prima conferiva le uve a una cantina sociale.
Lavora 11 ettari di vigneti a San Damiano al Colle, il penultimo comune a sud nell’Oltrepò prima di Rovescala, che vive al confine tra la tradizione –
anche gastronomica – oltrepadana e quella dei Colli Piacentini, vicinissimi.
Il Bardughino, nome dialettale della marna bruna su cui insistono piante di malvasia di Candia di oltre 40 anni di età
Uno dei suoi vini più originali si chiama Il Bardughino, nome dialettale della marna bruna su cui insistono piante di malvasia di Candia di oltre 40
anni di età, in un vigneto che non arriva all’ettaro. La novità è nella scelta di Alessio di vinificarla secca e ferma, anziché, come nei Colli
Piacentini, in versione frizzantina. Grado alcolico contenuto, estratto sobrio, profumi di pesca e salvia, freschezza debordante: servito a 8 gradi è un
vino al quale non saremmo capaci di resistere.