ROSH
LAMMIDIA

Cos’è un viaggio? Stando a Giorgio Manganelli, un viaggio non è riconducibile né alla lunghezza, né alla durata, né alle attrazioni o ai capolavori che siamo portati ad ammirare. Un viaggio è fatto prima di tutto da sé stesso: «È uno spazio longilineo dentro il quale, come in una fessura del pianeta, cadono immagini, profili, parole, suoni, monumenti e fili d’erba». E un vino? Non emerge forse anche nel caso del vino un’analoga impossibilità di coglierne l’essenza isolando le singole componenti, separandone le fasi espressive o considerando solo i valori analitici? Cosa ce ne facciamo delle indicazioni di colore, profumi, sapori, per non parlare dei dati relativi all’alcol, all’acidità, al ph, agli estratti, se poi non siamo capaci di farli entrare in risonanza con la sua temperatura emotiva? In fondo anche un vino è fatto prima di tutto da sé stesso, per tautologico che potrà sembrare. E la sua espressività resta spesso preclusa ai soli rilievi tecnici. Prendiamo il Rosh di Davide Gentile e Marco Giuliani.

A conquistarci non è stata la vendemmia in leggero anticipo, né la pigiatura con i raspi; non è stato il ricorso alla macerazione carbonica, né la vinificazione in cemento, col cappello sommerso, senza rimontaggi né follature. Certo, la storia di questi due ragazzi pescaresi, amici fin dai tempi dell’asilo, ci aveva incuriosito: la folgorazione per il vino di ispirazione artigianale che li spinge a fare vendemmie in giro per l’Europa; le rispettive lauree in ingegneria gestionale e in scienze della comunicazione che convivono con l’urgenza di sporcarsi le mani in vigna e in cantina; l’irresistibile desiderio di realizzare un proprio vino, che presto si traduce in ossessione sperimentale, con le etichette che diventano quindici, alcune concepite come episodi singolari e irripetibili, che forse sarà meglio non replicare, altre che invece si rivelano intuizioni ispirate, come il geniale Lambruzzo o lo stesso Rosh.

In fondo anche un vino è fatto prima di tutto da sé stesso, per tautologico che potrà sembrare. E la sua espressività resta spesso preclusa ai soli rilievi tecnici

Ecco, torniamo al Rosh e a Manganelli: al pari di quello che un viaggio rappresentava agli occhi dell’autore de La favola pitagorica (Adelphi, 2005), l’identità di questo vino si configura per noi come una caotica, irresistibile stratificazione di «immagini, profili, parole... e fili d’erba». E a chi obiettasse: «Il viaggio, i fili d’erba: ma che vi siete fumati?», rispondiamo che è tutta ammìdia, con un brindisi alla salute.