ROSATO
BONAVITA

L'

avventura produttiva di Giovanni Scarfone e di suo padre Carmelo incrocia e in parte propizia il rilancio della Doc Faro. Accanto a questo rosso messinese che gli Scarfone interpretano con il talento dei più sensibili artigiani della vigna, si è fatto strada nelle ultime vendemmie anche un rosato ricavato per lo più dal vigneto piantato nel 2007 sulle matrici tufacee e calcaree della contrada Mangiavacche. La comprensibile cautela nell’utilizzo del toponimo si allea al proverbiale understatement familiare, per cui di questo piacevolissimo vino non siamo in molti a conoscere l’esistenza. Ed è un peccato, perché di rosati così buoni se ne trovano pochi, anche “in continente” (come dicono a Messina quando parlano dell’Italia). Legato alle pigiature veloci della tradizione contadina del pista e mutta, è ricavato da uve nerello – due terzi di mascalese e un terzo di cappuccio – con un saldo di nocera, vendemmiate tutte insieme, di solito a inizio ottobre, macerate sulle bucce per circa dodici ore, dalla sera alla mattina, e quindi affinate per sei mesi in tini d’acciaio. L’olfatto è vitalizzato da note pepate, il sorso rivela naturalezza e succosità, l’assetto disteso e rilassato non pregiudica dinamismo né complessità e la lunga scia sapida rilascia il giusto contrasto. Sapidità che è una dote peculiare dei vini di queste contrade, affacciate sui due mari, Tirreno e Jonio; tanto che già Veronelli nel suo Il vino giusto (Rizzoli, 1971) apprezzava il vino di Faro per il gusto asciutto e sapido, sottolineando che «sente il mare».

Di rosati così buoni se ne trovano pochi, anche ‘in continente’ (come dicono a Messina quando parlano dell’Italia)

In questo senso, l’abbinamento con il pesce stocco alla ghiotta, tipico del messinese, rivendica una corsia preferenziale, anche se Giovanni confessa di preferirgli l’opzione con i legumi, ceci in primis. A giudicare dalla magrezza del vignaiolo, potrebbe sembrare un’opinione trascurabile, ma la disponibilità gastronomica di questo rosato ha i tratti di una vera e propria “vocazione ecumenica”: se togliamo i copertoni vulcanizzati e i fogli di lamierino zincato, sta bene quasi con tutto.