Ribelà è un termine dialettale usato dai viticoltori dei Castelli Romani (specie a Monte Porzio Catone) per indicare la pratica di ricoprire con la terra le viti appena piantate, quasi a rincalzare la terra sotto le piantine. Un gesto e una parola in cui convivono perciò due anime ben distinte e per certi versi opposte: da un lato l’umile atto di interrare, di custodire nella terra; dall’altro, per assonanza, il richiamo a un’operazione rivelatrice (ribelà, rivelare) che tradisce l’ambizione di portare alla luce. Terra e luce, custodia e rivelazione sono le polarità che fanno da sfondo ai vini di Daniele Presutti, in un gioco di tensioni e complicità tra disvelamento e nascondimento che sarebbe piaciuto al Martin Heidegger del saggio L’origine dell’opera d’arte, testo cruciale per l’Estetica filosofica del Novecento, in cui la nozione di “terra” gioca non a caso un ruolo decisivo. Così come passa per la terra la scelta di questo sensibile ragazzo poco più che trentenne, laureato in Architettura a Roma, ma determinato a reinventarsi un batticuore nelle storiche contrade del Frascati. «La scelta di questo nome rappresenta per me e la mia compagna Chiara il segno di un nuovo inizio, ma anche la sollecitazione a una continua esigenza di cura e rinnovo». E se la consapevolezza è sorprendente, lo sono anche i vini, tutti ottenuti attraverso lavorazioni manuali del terreno e vinificati con lieviti indigeni, tramite fermentazione spontanea a tino aperto, senza ricorrere a coadiuvanti o additivi chimici, senza filtrazione né chiarifica.
Da un lato l’umile atto di interrare, di custodire nella terra; dall’altro il richiamo a un’operazione rivelatrice (ribelà, rivelare) che tradisce l’ambizione di portare alla luce
Tra i primi imbottigliamenti, accanto all’inarginabile succosità del Garbagorba, un rosato da uve cesanese vinificato in damigiana e prodotto in tirature pressoché confidenziali, si segnala la vivacità del Ribolie. Le parole sono importanti, e Daniele ci fa notare che anche nel nome Ribolie confluiscono diverse porzioni di termini a cui si lega l’identità di questo vino: «Ri sta per Ribelà, bo per bollicine e lie è il lievito in lingua francese: nella nostra zona la fermentazione viene chiamata “bollitura”, quindi ri-bollitura in quanto si tratta di un rifermentato in bottiglia». Il richiamo alla tradizionale bollicina dei Castelli Romani – la cosiddetta “romanella” – è filologicamente ineccepibile. Ma con tutto il rispetto per i nomi e per le tradizioni, le bolle di Ribelà hanno diverse marce in più.