Per un bizzarro destino, una delle vigne più alte in Europa si chiama Nave; viene in mente la storia di Noè, la cui arca non trovò di meglio che «posarsi sui monti di Ararat» (e così abbiamo citato anche la Genesi, che in questo nostro volume mancava: 8,4). Il luogo è oltre i mille metri, parecchio per un impianto di vite; e camminare tra i filari dà la sensazione di calpestare uno strato di cacao in polvere, per consistenza, sofficità e colore. Lo fosse per davvero si sarebbe nella favola di Hänsel e Gretel; in realtà, il suono dei passi si attufa sopra l’equivalente dell’Inferno dantesco. Nave è infatti il nome di una contrada dell’Etna, sul versante nord-ovest: qui, una ventina di anni fa, l’enologo-custode Salvo Foti avviò un impianto sperimentale ad alberello, tentando su due ettari e mezzo varietà bianche in teoria non spaventate dalla quota. Era lecito: si approda infatti al vigneto attraversando un contesto che Foti stesso ebbe a definire «paesaggio dall’aspetto alieno», dove le ondate di colata lavica hanno tracciato un panorama arabescato, inconsueto; come le varietà in questione. Federico Graziani, già firmatario da anni di un gran rosso sul vulcano, ha sposato l’idea, e la collaborazione tra i due ha fruttato la prima vendemmia di un bianco sfolgorante. Le uve (grecanico e catarratto a dialogare tra loro in dialetto, gewürztraminer, riesling e chenin blanc a gesti) sono state raccolte e vinificate insieme in acciaio, e l’intero protocollo è stato pensato per non ammansire l’energia naturale del vino che ne è scaturito.
Il luogo è oltre i mille metri, parecchio per un impianto di vite; e camminare tra i filari dà la sensazione di calpestare uno strato di cacao in polvere, per consistenza, sofficità e colore
Ed ecco il Mareneve nome che genialmente rende conto della sua natura contrastata (è comunque toponimo inappuntabile: si chiama così una via che scende dalle alte quote della Muntagna fin giù a Linguaglossa). Ha brio, articolazione e bevibilità, tra mille sfumature di fiori, cenere e frutta aspra, e senza tuttavia abdicare alla droîture e alla sobrietà che sono il denominatore comune del progetto che lo ha generato.