BÀLTEO
VINIRARI

Giulio Moriondo è un vignaiolo come ne vorremmo conoscere più spesso. Ha talento di affabulatore, ma è preciso e competente, l’esatto opposto di un imbonitore. Laureato in Biologia e specializzato in Enologia, ha fatto suo un approccio tutt’altro che tecnico, specie alla vinificazione, dove non si affida a protocolli, anzi ha proprio ridotto all’osso gli interventi. Attivo da circa trent’anni, non è solo un artigiano scrupoloso e accurato, ma anche un appassionato ricercatore, con il bernoccolo delle vigne centenarie e un talento non comune nell’identificare e riscoprire vecchi vitigni locali scomparsi o dimenticati. In questa prospettiva, collabora da tempo con José Vouillamoz, biologo molecolare svizzero specializzato nelle analisi del Dna e delle parentele genetiche; e con lui ha fatto luce su vitigni autoctoni misconosciuti quali il blanc commun, ritenuto estinto da oltre un secolo, o anche il neret de Saint-Vincent. Accanto alle ricerche, si dedica anche, con spirito artigianale, a una piccola produzione di vini che ricava da circa mezzo ettaro di vigne sparpagliate su tre diversi siti, parte di proprietà e parte in affitto. Una di queste vigne è stata piantata vent’anni fa oltre quota 500, in una valletta scavata dalla Dora Baltea nel comune di Nus, con una densità d’impianto superiore ai diecimila ceppi per ettaro, su terreni prevalentemente sabbiosi esposti a sud. È da queste piante (poco più di mille viti) che nasce il Bàlteo, un rosso da uve fumin e cornalin vinificato “all’antica”: vale a dire tramite fermentazione spontanea senza inoculo di lieviti; macerazione di oltre due settimane con numerose follature quotidiane; nessuna chiarifica né filtrazione; nessuna stabilizzazione tartarica.

Un appassionato ricercatore, con il bernoccolo delle vigne centenarie e un talento non comune nell’identificare e riscoprire vecchi vitigni locali scomparsi o dimenticati

Antico per certi versi è anche il gusto, che associa l’intensità balsamica del cornalin alla vitalità speziata e pepata del fumin. E rilascia un senso di naturalezza e spontaneità nell’espansione al palato che rende un certo gusto antico più contemporaneo di quello moderno.