Quello che adesso noi consideriamo il vecchio stile della Rioja fu creato intorno al 1850, con i sensali vinicoli francesi che arrivarono in Spagna quando l’oidio prima e la fillossera poi devastarono i loro vigneti in patria. I francesi introdussero l’invecchiamento in barrique di rovere nella regione, che in precedenza si era specializzata nella produzione di un vinello leggero, fruttato e poco longevo. Due nobili, il Marqués de Murrieta e il Marqués de Riscal, contribuirono a sviluppare e commercializzare questo vino in stile bordolese. (Entrambe le bodegas sono ancora fiorenti.) Gli spagnoli si dedicarono alla maturazione in barrique come gli italiani alla pasta, sostituendo il rovere americano a quello francese e sviluppando una gerarchia ufficiale che culmina nella reserva (almeno dodici mesi in botte, due anni in bottiglia) e gran reserva (almeno ventiquattro mesi in botte e tre anni in bottiglia). I crianza, messi in vendita a due soli anni dalla vendemmia, tendono ad avere una freschezza di fragola e vaniglia, mentre i reserva e gran reserva sprigionano i caldi profumi secondari associati all’età – odori che evocano l’autunno più che l’estate. E quelli affinati in bottiglia possono suggerire praticamente l’intero portaspezie, per non parlare della scatola di sigari e della selleria. In qualche modo ci si può fare un’idea del gusto del vino rosso di un tempo.
Se la vecchia scuola avesse un campus centrale, sarebbe la serie di edifici raggruppati intorno ai binari della ferrovia ai margini della cittadina medievale di Haro, e comprenderebbe le bodegas Muga e López de Heredia. Entrambe le aziende si avvalgono dei servigi di diversi bottai per tutto l’anno, per fare e riparare barrique e occuparsi della manutenzione delle enormi tinas – i tini di rovere delle dimensioni di una piscina per la fermentazione e lo stoccaggio dei vini; il rovere vecchio non conferisce un aroma legnoso al vino, ed entrambe le aziende lo ritengono superiore all’acciaio inox. E alla guida dell’una come dell’altra ci sono discendenti diretti dei fondatori. Se un qualche spiritello malvagio mi dicesse che d’ora in avanti potrò bere Rioja di un solo produttore, sceglierei certamente Muga. Oltre ai suoi vini vecchia scuola, in particolare il gran reserva, che passa tre anni in vecchie barrique di rovere americano, Muga ne produce un’incarnazione più moderna nel rovere francese sotto l’etichetta Torre Muga, compresa una cuvée postmoderna di lusso con il nome di Aro. Lo stesso non si può dire di López de Heredia, gli irriducibili reazionari della Rioja, produttori di Viña Tondonia.
Tondonia è una di quelle parole d’ordine segrete con cui i fanatici del vino si riconoscono tra loro. (Fate colpo sul vostro sommelier o costringetelo a mettersi sulla difensiva con una domanda in proposito.) L’azienda fu fondata nel 1877, e a quanto pare per ciò che riguarda la vinificazione ben poco è cambiato da allora. Il vigneto Tondonia è situato in una splendida posizione su un alto plateau rivolto a sud appena fuori Haro. Per ragioni che non mi sono del tutto chiare, il complesso degli edifici ricorda un paesino svizzero o bavarese. All’interno, pare il set di un film horror a basso costo, con vetusti macchinari dall’aria vagamente sinistra, enormi tinas annerite, e una muffa nera e lanuginosa che copre praticamente ogni cosa. Alcuni tini sono vecchi quanto l’azienda, e María José López de Heredia, la pronipote del fondatore dalle sembianze di fata, è convinta del fatto che i sedimenti pietrificati e i lieviti naturali nelle tinas siano un aspetto importante del caratteristico profilo aromatico dei vini.
Molto al di sotto dei tini di fermentazione e di stoccaggio, in una serie di tunnel scavati nel calcare, decine di migliaia di bottiglie degli anni venti dormono sotto la soffice muffa. “I ragni mangiano i parassiti del sughero,” spiega allegramente María José mentre mi tolgo una grossa ragnatela dal volto. Da un momento all’altro, ne sono sicuro, Vincent Price mi salterà addosso. Il senso di inquietante mistero si dissipa gradualmente, sostituito da un entusiasmo e una meraviglia crescenti man mano che la López de Heredia stappa bottiglie nella sala di degustazione sotterranea. Comincio, tra tutti i vini possibili, da un rosé del 1995 – era questa la sua idea di vino giovane – e passo al Blanco Gran Reserva dell’81, ottenuto da un assemblaggio a base dell’uva bianca locale chiamata Viura, che risulta molto fresco e vivace per la sua età. La degustazione di rossi parte dall’etereo Tondonia ’85, che ha un incredibile profumo di cannella, chiodi di garofano, cuoio, tabacco – l’intera cassettina delle spezie. Anche se questo potrebbe sembrare uno di quei fastidiosi casi in cui ci si trova costretti ad ascoltare un giornalista enologico che ci stuzzica con descrizioni di cose che non vedremo né assaggeremo mai, la realtà è che tutti questi vini sono stati recentemente messi in vendita. Da questo punto di vista, López de Heredia mi fa venire in mente l’imbarazzante spot di Orson Welles per Paul Masson: “Non vendiamo nessun vino prima del tempo.”
Dall’altra parte della strada, Muga sta mettendo in commercio i suoi gran reservas con una tempistica leggermente accelerata. Potete trovare quelli del ’95 e del ’96 sugli scaffali dei rivenditori; entrambi hanno quel genere di complessità speziata che si sviluppa solo con l’età, ed entrambi hanno un gusto vagamente simile a quello di una torta all’uvetta, solo molto migliore. E se siete fortunati, potete trovare annate più vecchie. Un gran reserva del ’76 che ho diviso in un ristorante di Haro con Juan Muga, burbero e accattivante trentenne, è rimasto scolpito nella mia memoria come uno dei migliori vecchi Borgogna che abbia mai bevuto. Marqués de Riscal, Marqués de Murríeta e Bodegas Montecillo sono altre ottime fonti di Rioja tradizionale. La prossima volta che avvertite un certo affaticamento palatale dopo aver tentato di masticare l’ultimo Merlot del Nuovo Mondo superconcentrato, potreste prendere in considerazione l’idea di scoprire il fascino sottile e delicato di un vecchio gran reserva.