EDIPO ALL’HERMITAGE
Michel Chapoutier
Michel Chapoutier ha una risposta pronta per una delle questioni più spinose concernenti l’abbinamento tra vino e cibo: cosa bere con gli asparagi. “Il partner ideale degli asparagi sono i vini dei miei rivali.” Il problema è che gli asparagi tendono a far sembrare il vino metallico e scialbo, e questa battutina mi pare illustri non solo l’acuto e pungente senso dell’umorismo di Chapoutier, ma altresì il suo accanito spirito di competizione. Caparbia e determinata, la sua figura è fonte di ispirazione e di controversie nel mondo del vino. Persino il marcato zoppicare è una manifestazione della sua forza di volontà: se ne andò in giro per due mesi con una gamba rotta e dolorante prima di decidersi a farsi visitare da un medico, le cui radiografie rivelarono quattro diverse fratture. Anche se adesso ha bisogno di un bastone per camminare, sembra tutt’altro che debilitato: talvolta mi ritrovai quasi a correre per tenere il suo passo mentre procedeva zoppicando nell’azienda vitivinicola e sui marciapiedi di Tain l’Hermitage.
Se alcuni hanno chiamato in causa Napoleone per descrivere il piccolissimo e ambiziosissimo barone del vino, io non ho potuto fare a meno di pensare a Edipo quando Chapoutier mi spiegò di esser succeduto nella gestione del domaine di famiglia al padre, “un uomo pigro e violento” che sminuiva le capacità del figlio minore ed era stato un amministratore negligente dei vasti vigneti che aveva ereditato nel Rodano settentrionale – in particolare sulla veneranda collina dell’Hermitage, un terroir la cui fama era celebrata quanto quella di Bordeaux. Ci sedemmo sulla veranda del suo casale che si sviluppa disordinatamente su una cresta sovrastante il Rodano, e l’ira di Chapoutier divampò per poi spegnersi mentre sorseggiava un calice di Riesling Clos Sainte-Hune Trimbach, lanciando periodicamente uno sguardo alla moglie, Corrine, trapiantata dai Paesi Baschi (l’ha conosciuta mentre girava per i negozi in cerca di un regalo di fidanzamento per quella che era allora la sua ragazza).
La famiglia Chapoutier arrivò a Tain l’Hermitage, nella Valle del Rodano, duecento anni fa. Accumularono gradualmente circa duecento ettari di vigneti in varie zone della valle, oltre ad acquistare uve da altri coltivatori e vinificarle. La reputazione dell’azienda languì sotto la direzione del padre di Michel; quando quest’ultimo tornò a casa dopo aver studiato enologia e aver fatto diversi stage in tenute californiane scoprì che gli affari stavano andando a rotoli. Prese il controllo della vinificazione e nel 1990, con l’aiuto del suo importatore americano, acquistò l’azienda dal nonno. (Il fratello maggiore Marc, che gestiva gli aspetti commerciali, era stato rimosso da tempo dalle sue funzioni.) Chapoutier si consultò con gli enologi Gérard Chave dell’Hermitage e Marcel Guigal della vicina Côte-Rôtie, che avevano introdotto l’uso di nuove botti di rovere in cantina e abbassato la resa nei vigneti. Come Guigal, Chapoutier abbandonò la filtrazione dei vini, sostenendo che li privava del proprio carattere. “Filtrare il vino,” dice, “è come trombare con il profilattico.” (Ama le metafore sessuali; quando uno dei suoi ospiti si sforza di identificare i componenti del bouquet di un vino nella sala di degustazione, lo invita a rilassarsi e a goderselo senza troppe riflessioni. “Se ci pensi troppo rischi di ucciderlo. Il cervello è l’assassino del piacere. Non c’è bisogno di essere un ginecologo per fare l’amore.”)
Chapoutier si è spinto ancora più in là dei suoi mentori nell’approccio alla viticoltura, bandendo quasi completamente l’uso di sostanze chimiche di sintesi e adottando la biodinamica, il radicale sistema di coltivazione biologica fondato sugli insegnamenti di Rudolf Steiner. “La biodinamica,” spiega Chapoutier, “è l’omeopatia applicata alle piante.” Anche se un certo numero di piccoli produttori d’Alsazia e Borgogna hanno abbracciato questo metodo, basato in parte sull’attenzione al ciclo lunare, Chapoutier ne è forse il sostenitore più acceso e con la produzione più consistente.
A cominciare dalla potente annata 1989, i risultati della gestione di Michel furono straordinari. Nel 1996, Robert Parker scrisse: “Non ho mai assistito a un simile balzo qualitativo e cambiamento nella filosofia della vinificazione di quello occorso nelle cantine Chapoutier a partire dalla vendemmia del 1989.” I vini prodotti da uve di un unico vigneto tra quelli della sua proprietà (ne offre anche alcuni fatti con uve acquistate) sono tra i più ricercati del Rodano, e l’esuberante ipomaniaco di circa un metro e sessanta è diventato un gigante del mondo del vino. Insieme al suo vicino Gerard Chave ha contribuito a far tornare agli antichi fasti la reputazione dell’Hermitage, una collina a forma di cupola nota soprattutto per i suoi potenti e longevi rossi basati su uve Syrah, anche se personalmente ammiro di più i bianchi di Chapoutier, fatti con uve Marsanne e dominati da una singolare mineralità. Non assomigliano a nessun altro bianco del mondo, e per Michel è questo il vero senso della biodinamica – lasciare che il suolo parli da sé. “Hermitage era inizialmente nota per i suoi vini bianchi,” dice Chapoutier, un’affermazione di cui non ho trovato altre conferme. Non importa. I suoi rossi da uve di un unico vigneto e gli Hermitage bianchi sono vini sbalorditivi, potenti e terrosi, ancora migliori adesso che ha un po’ ridotto l’uso del rovere nuovo. Dell’evoluzione del suo metodo di vinificazione dice: “Una volta sapevo far rumore, ma adesso faccio musica.”
Chapoutier produce anche due superbi Côte-Rôtie dalle “coste arrostite” a nord della collina dell’Hermitage, e alcuni dei migliori vini delle più umili denominazioni Saint-Joseph e Crozes-Hermitage, molto più abbordabili degli Hermitage, che arrivano a trecento dollari. E il suo Châteauneuf-du-Pape, il Barbe Rac, fatto dalle uve di viti centenarie di Grenache, è solitamente uno dei migliori. Tutti questi vini vengono prodotti in quantità piuttosto esigue; negli ultimi anni ha acquistato terra da vigneto ad Aix-en-Provence e Banyuls, e adesso ha due diversi progetti di vinificazione in Australia. “Sono uno scopritore di terreni,” dice. Ha ricevuto appellativi migliori – e peggiori. In qualche modo ho l’impressione che ci vorrà parecchio tempo per veder rallentare questo derviscio rotante sospinto tanto dalla sua passione quanto dai suoi demoni.