L’AMBASCIATORE DI FRANCIA A BERKELEY
Kermit Lynch

Perché mai,” si domanda Kermit Lynch, “la maggior parte degli uomini non apprezza le donne robuste, ma crede di apprezzare i vini robusti?” Stiamo degustando nelle cantine di Domaine Tempier a Bandol, vicino alla sua casa di Les Beausset, in Francia, parlando della tendenza della stampa enologica americana a celebrare robusti vini supermaturi a scapito di quelli che manifestano delicatezza e raffinatezza. La sua scelta di metafore riflette il modo in cui si parla dei vini nelle cantine della Borgogna e del Rodano, anche se potrebbe non essere apprezzata nella progressista Berkeley – dove si trova l’enoteca che ha battezzato con il proprio nome, e dove passa sei mesi all’anno.

Lynch è un bastian contrario di lunga data, un californiano che non offre neppure una bottiglia californiana nel suo negozio su San Pablo Avenue, un fanatico del vino di tendenze francofile convinto che il Bordeaux sia andato a ramengo, e un ammiratore di Robert Parker che lo giudica però un feticista della robustezza.

Il suo semplice nome, incontrato sulle etichette dei più grandi vini di Francia, suscita curiosità. Il suo aspetto è altrettanto singolare. Nei lineamenti di quest’uomo c’è qualcosa che ricorda un folletto: le orecchie allungate e sporgenti, la fronte alta, le arcate gotiche delle sopracciglia che gli danno un’aria perennemente interrogativa, scettica, fiabesca. Il suo amico Olivier Humbrecht lo definisce imperscrutabile. Lynch sostiene di essere antisociale, anche se lui e la moglie, insieme ai due figli, conducono una vita che assomiglia un po’ a quella di Gerald e Sara Murphy tra la Provenza e Berkeley, ricevendo ospiti del calibro di Boz Scaggs, Alice Waters e Aubert de Villaine.

Come venditore al dettaglio, importatore e autore, Lynch ha seguito il suo naso e il suo palato, scovando e presentando agli americani alcuni tra i più grandi e caratteristici vini di Francia. Tra le sue scoperte ci sono Zind-Humbrecht, Raveneau, Vieux Télégraphe e Mas de Daumas Gassac. E ha descritto in modo memorabile la sua ricerca in Adventures on the Wine Route, a mio avviso uno dei migliori libri sul vino in lingua inglese, con la sua inconsueta unione di intuizione poetica e pragmatico scetticismo.

È un pioniere nell’attenzione alle tradizioni regionali del vino francese, e la sua posizione nel mondo enoico potrebbe venir definita quasi reazionaria. Dei vini californiani dice: “Li assaggio e mi chiedo: un bianco è forse capace di cantare il blues?” Quanto ai bordolesi, pensa che stiano tentando di imitare i californiani. “Il Bordeaux non sa più di Bordeaux,” dice durante un pranzo a base di verdure grigliate. “Sa di Cabernet californiano. L’ultima annata di vero Bordeaux è stata quella dell’81. Adesso mettono in ghingheri i loro vini con rossetto e tacchi alti.” (In modo meno metaforico, dice che i bordolesi stanno coltivando troppo, e agghindando il succo con zuccheri ed espedienti come l’osmosi inversa, che separa l’acqua dal mosto.) Descrivendo il vecchio stile, cita il cardinale Richelieu, secondo cui i vini di Bordeaux avevano “un gusto indefinibilmente sinistro e tetro che non è affatto sgradevole”. Lynch sente la mancanza di tale aspetto sinistro nel civettuolo Bordeaux odierno. Riconosce a Marcel Guigal il merito di aver ravvivato l’interesse per il Côte-Rôtie, criticando però i suoi best seller, pesantemente condizionati dalla maturazione nel rovere, in quanto sprovvisti del carattere inconfondibile che l’origine e il vitigno dovrebbero conferire loro. Opinioni simili, per non parlare della tendenza a monopolizzare il mercato di alcuni nettari altamente desiderabili, hanno reso Lynch una figura in qualche modo controversa nel mondo dei vini.

Secondo la sua stessa descrizione, Lynch era il classico hippie di Berkeley quando nacque il suo interesse per il vino. Faceva il musicista, scriveva per il “Berkeley Barb” e creava borsette smembrando tappeti orientali, e quando trovò un acquirente per la sua bottega artigianale la vendette e andò in Europa con i proventi. Tornò in California nel 1972 e si fece prestare cinquemila dollari per aprire una minuscola enoteca. Alice Waters, che aveva appena lanciato Chez Panisse, fu tra i suoi primi clienti. All’epoca, il boom dei vini californiani era ancora nella prima infanzia, e il mercato americano dei vini francesi era sostanzialmente limitato ai Bordeaux più pregiati. Lynch creò una nicchia visitando le regioni meno famose della Francia e importando vini regionali caratteristici. Dice che la sua decisione di concentrarsi sui vini europei fu quasi accidentale; il compianto enologo californiano Joseph Swan era un amico, e Lynch amava i suoi Zinfandel. Ma quando Swan smantellò il suo miglior vigneto di Zinfandel per piantare Pinot Noir, Lynch non fu affatto entusiasta dei risultati. “E così, invece di perdere un amico,” dice, “stabilii una regola: niente vini californiani.” Viene il sospetto che la storia non sia tutta qui, ma Lynch se la sfanga bene con gli aneddoti.

In un altro episodio fausto, Lynch conobbe Richard Olney, il leggendario scrittore gastronomico stabilitosi in Francia, mentre cercava un traduttore nel corso di uno dei suoi viaggi alla scoperta di vini da importare. (In seguito ha imparato il francese quel tanto che basta a cavarsela da sé.) La conoscenza di Olney dei vini regionali francesi era inestimabile quanto quella della lingua. “Ascoltava un vino per capire cosa avesse da dire,” dice Lynch. “Ha cambiato il mio modo di assaggiare.” Come Olney, Lynch crede nel contesto – il contesto delle origini di un vino, e il contesto del suo consumo con certi cibi. Si fa beffe degli assaggi alla cieca, delle tabelle delle annate e dei punteggi dei vini. “È ridicolo usare la stessa scala di valore per un Muscadet e un Montrachet,” dice. “Una delle grandi cose del vino è la diversità.” Diversità è il suo mantra. Sì, importa il Coche-Dury, il più ricercato tra i bianchi di Borgogna, ma sembra altrettanto entusiasta dei vini economici della Corsica, con i loro caratteristici vitigni e fragranze di erbe aromatiche. Ha da poco acquistato Les Pallières, una tenuta nella rustica Gigondas, in società con la famiglia Brunier di Vieux Télégraphe.

Kermit Lynch sta vincendo la sua battaglia contro l’omogeneità? Da una parte, ha contribuito ad arginare la tendenza alla filtrazione in Francia, che secondo lui (e adesso secondo gran parte delle autorità) spoglia i vini del proprio carattere. I vini regionali francesi come Sancerre, Chinon e Bandol hanno trovato spazio sugli scaffali delle enoteche americane. D’altra parte, nonostante le ribellioni locali, l’egemonia del Cabernet e dello Chardonnay invecchiati nel rovere continua a consolidarsi. Se siete stanchi del solito vecchio cioccolato e vaniglia, la prossima volta che andate in enoteca potreste cercare quel nome fantastico sull’etichetta.