A quanto ne so, nessuna chat room sul vino della rete ha mai ospitato un infuocato dibattito intorno alla questione se Michael Broadbent sia un sex symbol o meno. Questa è soltanto uno degli aspetti che lo distinguono da un’altra Master of Wine, Jancis Robinson, sebbene siano entrambi elegantoni: Broadbent predilige i sarti di Savile Row, mentre la Robinson è una fedelissima di Issey Miyake. Se esiste un palato inglese, distinto da quello americano, loro ne sono i due avatar, che rappresentano rispettivamente la tradizione e la new wave della critica enologica britannica.
Adesso che la seconda grande Rivoluzione americana – quella in cui Robert Parker ha svolto il ruolo che fu di George Washington – è diventata la nuova ortodossia in materia di vino, vedere quanto accade nella vecchia madrepatria potrebbe curiosamente rappresentare una boccata d’ossigeno. Al Veritas di New York, luogo sacro per gli appassionati di vino americani, l’entrata di Broadbent fa una gran sensazione. Anche gli avventori che non lo riconoscono si fermano a osservare l’alta, imponente figura che ricorda in qualche modo il vecchio Ralph Richardson con l’aggiunta di una chioma argentea. Dopo qualche minuto, Broadbent spezza il religioso silenzio dichiarando a gran voce: “Voi americani dovreste bere maledettamente di più. Parlate, scrivete, annusate e assaggiate troppo. Bevete!”
Dal 1966, nelle vesti di capo e in seguito direttore esecutivo del dipartimento dei vini di Christie’s a Londra, Broadbent ha probabilmente assaggiato più vecchie bottiglie di chiunque altro sul pianeta, e ha preso nota su tutte – centotrentasette taccuini rossi pieni di commenti scarabocchiati, trascritti dalla moglie Dafne. Il suo Vintage Wine è una testimonianza inestimabile di cinquant’anni di degustazioni che coprono circa tre secoli di produzione vinicola. A un certo punto della serata ci troviamo a discutere dell’Yquem del ’67. Credevo stessimo parlando di quello del 1967, mentre Broadbent si riferiva a quello del 1867.
Broadbent è uno degli ultimi rappresentanti di una grande tradizione di enofili inglesi bordocentrici. Ama soprattutto i vini leggermente austeri, a dominanza di Cabernet, del Médoc, che per secoli sono stati la colonna portante del commercio vinicolo inglese. La sua era una generazione, come mi ha detto di recente Jancis Robinson, “che considerava persino il Pomerol leggermente volgare”. Quando lo interrogo in proposito, conferma, dicendo che i vini di Pomerol e Saint-Émilion “sono troppo facili”: “Persino il Pétrus è un po’ come il Gewürztraminer: basta qualche sorso e mi ha già stufato.” Nel 2004, ciò risulta scioccante. Negli ultimi due decenni i vini prodotti sulla riva destra in quantità esigue e a dominanza di uve Merlot, come Pétrus e Le Pin, sono diventati più di moda e costosi di Latour e Lafite. In linea di massima, è altrettanto scettico sul vin de garage di Saint-Émilion e i Cabernet californiani di culto, pur dimostrandosi di larghe vedute nei singoli giudizi. (Adora lo Screaming Eagle.) Ecco le sue note sull’annata ’97 del Tertre Roteboeuf, un vino di gran moda: “Uno di questi vini moderni, al cioccolato, molto dolci, molto carnosi, eccessivi. Francamente terribile.” (Sono d’accordo con la prima affermazione e non con la seconda.)
Anche se la quarta di copertina di Vintage Wine ha l’onore di ospitare un encomio di Robert Parker (e Broadbent dice di questi: “Ammiro la sua onestà e accuratezza”) Broadbent è a tutti gli effetti l’anti-Parker. Al Veritas mi dice: “Parker non comprende la differenza tra frutta e vino.” La maggior parte dei vini che Broadbent ammira hanno perso da lungo tempo la frutta della gioventù. Il nuovo stile internazionale, sostiene, sembra il prodotto di “due macchine, una con ribes nero e l’altra con vaniglia”.
Jancis Robinson è stata la prima professionista del vino che ho incontrato nella mia vita – alla tavola dello scrittore Julian Barnes una quindicina d’anni fa. Anche se la trovai di una bellezza scoraggiante, fui sollevato nello scoprire quanto fosse modesta e poco pedante; alla fine dovemmo quasi supplicarla di fare qualche commento sul vino. Oltre a essere divertenti, le sue osservazioni mi fecero sentire in qualche modo più intelligente. Quella serata contribuì a dipanare il mistero che ai miei occhi avvolgeva la degustazione del vino. Sospetto che Jancis Robinson abbia avuto lo stesso effetto su molti lettori nel corso degli anni. Superò il durissimo esame per diventare Master of Wine nel 1984, quando era l’emblema dell’universo ipermascolino del vino in Inghilterra. Negli ultimi due decenni è diventata una stella del mondo enologico. Oltre a tenere una rubrica sul “Financial Times”, è nota tra gli enofili americani come curatrice di The Oxford Companion to Wine e per la sua rubrica sul “Wine Spectator”.
Affascinante ed erudita, Jancis Robinson ha contribuito a suscitare una sete più variegata e globale in Inghilterra; si può dire che ha un palato internazionale. (E questo non significa che non sappia riconoscere uno Cheval-Blanc del ’61 a occhi chiusi, come le ho visto fare, anche se è la prima ad ammettere che è suo marito, il ristoratore e critico gastronomico Nick Lander, il campione di degustazione alla cieca in famiglia.) È stata tra i primi stranieri a prendere sul serio i vini australiani, recandovisi in perlustrazione già nel 1981. È stata anche uno dei primi paladini della Languedoc, ed è andata recentemente in Cina per sondarne i vigneti.
È convinta che la nuova ondata di appassionati di vino inglesi sia più amante dell’avventura dei cugini americani: “Gli inglesi fanno di tutto per vedere anche le più stravaganti novità vinicole in una luce favorevole. Viognier ecuadoregno: sì grazie! Almeno fintanto che non costa più di quattro sterline e novantanove.” Gli americani possono tenersi aggiornati su questo genere di osservazioni grazie al suo eccellente sito web, jancisrobinson.com. D’altra parte, se mai doveste prendere in considerazione l’acquisto, per esempio, di un Lafite del 1899 e voleste sapere le differenze con uno del 1898 o del 1900, o anche soltanto indulgere a pii ed eruditi desideri di questo genere, il suo amico e collega Michael Broadbent è l’uomo che fa per voi.