PRIMO TRA I PRIMI?
Le glorie dello Cheval-Blanc
L’assolutismo platonico potrebbe in fondo sembrare sciocco nel regno estatico di Bacco. C’è un’inestirpabile componente soggettiva nella valutazione critica del vino. Detto ciò, nessun vino al mondo ispira un rispetto paragonabile a quello riservato agli Otto Grandi di Bordeaux. E, parlando a titolo strettamente personale, posso dire che nessun vino mi ha dato tanto piacere quanto lo Cheval-Blanc.
Lafite, Latour, Margaux e Haut-Brion erano gli originali premier cru nella classificazione del Bordeaux del 1855; quando il Mouton-Rothschild fu aggiunto alla lista, oltre un secolo dopo, altre tre tenute – Pétrus, Ausone e Cheval-Blanc – avevano acquisito lo status non ufficiale di premier cru. Questi tre outsider arrivavano dalla riva destra della Gironda, dai comuni di Pomerol e Saint-Émilion. Prima della Seconda guerra mondiale, la riva destra era stata una specie di Burbank rispetto alla Beverly Hills di quella sinistra, una sorta di Brooklyn rispetto alla Manhattan del Médoc.
Anche se lo Cheval-Blanc godette di una considerazione crescente dopo esser stato rilevato dalla famiglia Fourcaud-Laussac alla metà del diciannovesimo secolo, la vera fama dello château si diffuse grazie all’annata 1947 – probabilmente il vino più desiderato del secolo. In seguito, nonostante una serie di splendide incarnazioni, lo Cheval fu in qualche modo messo in ombra dal vicino Pétrus, che divenne il vino di Bordeaux più costoso, e dagli aristocratici della riva sinistra che, per tutti gli anni ottanta e i primi anni novanta, lo esclusero a gomitate dai cento punti di Parker. Alla metà degli anni novanta Saint-Émilion, come Brooklyn, divenne di moda, anche grazie all’ambiziosa vinificazione, al tempo clemente, e all’accessibilità dei suoi vini a predominanza di uve Merlot. Nel 1998, una delle migliori annate recenti per la riva destra, lo château Cheval-Blanc fu acquistato dal re del lusso Bernard Arnault, di LVMH, e dal barone Albert Frère, un magnate belga. Quanto al 2006, al mondo non c’è tenuta più ambita del principale château di Saint-Émilion, anche se lo Cheval-Blanc è per certi versi una repubblica a sé, che non assomiglia a nessun altro vino al mondo.
Situato al confine tra Saint-Émilion e Pomerol, Cheval-Blanc ha le caratteristiche di entrambi – e di nessuno dei due. La sua combinazione di terrosità e raffinatezza mi fa pensare (tenete conto della mia precedente osservazione sulla soggettività) a Turgenev, che aveva un piede in Russia e uno in Europa – e che probabilmente non è mai stato oggetto della domanda di un quiz televisivo, come è invece accaduto a Tolstoj (Lafite? Pétrus?) e Dostoevskij (Mouton-Rothschild?). La graziosa e discreta magione del diciannovesimo secolo e la moderna cantina accanto a essa probabilmente non appariranno sulla copertina di una rivista di design. La vera bellezza è sottoterra: la tenuta comprende tre tipi di terreno; il sottosuolo consiste per il quaranta percento della stessa argilla che affiora qualche centinaio di metri più in là, nelle vigne di Pétrus. Lo Cheval-Blanc è però unico tra i vini di Bordeaux per via dell’alta percentuale di Cabernet Franc, solitamente superiore al cinquanta percento. I vini della riva sinistra sono a predominanza di Cabernet Sauvignon, quelli di Pomerol e Saint-Émilion a prevalenza di Merlot.
A differenza degli altri grandi Bordeaux, che richiedono metà della vita di un uomo per diventare attraenti, lo Cheval-Blanc è avvicinabile e persino squisito già in gioventù, e nonostante ciò continua a evolversi nel corso dei decenni. Immaginate un enfant prodige del cinema che sbanca il botteghino anche a sessant’anni. Non sono in grado di spiegare la cosa dal punto di vista chimico, ma so per esperienza che i tannini dello Cheval-Blanc tipico sono cashmere in confronto al ruvido Harris Tweed di quelli del Latour e del Mouton-Rothschild (e persino del Pétrus) che richiedono circa vent’anni per ammorbidirsi. Il che non vuol dire che lo Cheval andrebbe tracannato non appena imbottigliato. La complessità aromatica di uno Cheval-Blanc di una grande annata come il ’64 o il ’55 invecchiato quarant’anni ricorda un catalogo di piccoli vizi: tabacco, mentolo, caffè, tartufo e cioccolato, per citarne solo qualcuno.
Molti assaggiatori sostengono che quello del ’49 sia almeno altrettanto grande di quello del ’47 – un vino di un’annata bizzarra che smise di fermentare prima che gli zuccheri si fossero interamente convertiti in alcol, lasciandone un residuo del tre per mille circa, che lo rende più simile a un grande Porto che a qualunque altra cosa. Fu chiaramente un’annata unica e irripetibile, un vino spettacolare che perdura sul palato per diversi minuti e nella mente in eterno. In linea generale, lo Cheval-Blanc è più lirico che epico, più simile ad Andrew Marvell che a Milton. Adoro quello del ’55, l’anno in cui sono nato. Il ’61, per quanto straordinario, non è profondo come il ’64, uno dei miei tre vini preferiti di tutti i tempi; l’ho assaggiato diverse volte grazie a Julian Barnes, che lo ama più di ogni altro Bordeaux e ne ha una scorta nascosta in cantina.
Quello del ’75 è uno dei pochi vini di quell’annata che si sia dimostrato all’altezza delle aspettative. Parker da cento punti allo Cheval del 1982, ma io lo trovo meno ricco e concentrato di quello del 1983, del 1989 o del ’90. (A giudicare dalle mie ultime esperienze di degustazione, quest’ultimo sembra evolversi molto rapidamente, e pare decisamente più maturo di diverse annate degli anni ottanta.) Pierre Lurton, il dinamico e giovane direttore della tenuta e rampollo di una famosa famiglia bordolese, mi ha detto durante un recente assaggio al Veritas di New York che anche lui ha l’impressione che all’annata ’82 manchi qualcosa per raggiungere la perfezione. Il 1980, sottolinea, fu un un’annata mostruosamente prolifica, e l’ultima in cui non fu fatta alcuna vendemmia verde o scelta delle botti per lo Cheval-Blanc. In seguito lo château ha ridotto le rese in vigna e aumentato la selezione in cantina.
Dopo esser stato per anni un vino da intenditori, lo Cheval è salito alla ribalta con le annate 1998 e 2000. Accanto ai peana, ci sono stati brontolii sul fatto che con il nuovo corso sembra deciso a diventare il Pétrus di Saint-Émilion, in termini di prezzo come di qualità. Grazie a Parker e ad altri, l’annata 1998 era una leggenda ancor prima di venir pigiata, e quella 2000 sembra la star di quella grande annata. “Non puoi tenere un certo prezzo se nessuno è disposto a pagarlo,” dice Todd Hess, responsabile dei vini per Sam’s di Chicago, che non riesce a soddisfare la domanda di clienti desiderosi di sborsare seimila dollari per una cassa del 2000.
Sfortunatamente per coloro tra noi che devono chiedere il prezzo delle cose, i giorni dello Cheval-Blanc come stella dormiente del Bordeaux sono finiti. Ma per chi non si vuole limitare alle annate celebri, quello del ’99 è un gran rosso di Bordeaux e un gran Cheval per meno della metà del prezzo dei suoi fratelli celebri, e il 2001 sembra un’altra bella addormentata. Altre grandi annate possono essere acquistate alle aste per un prezzo molto inferiore a quella del 2000. Qualunque Cheval vi possiate permettere, ricompenserà generosamente l’investimento, e i suoi piaceri sopravvivranno probabilmente alla vostra capacità di goderli.