IL SUO NOME
È BOND

L’Harlan Estate fu il primo dei Cabernet di culto che irruppero nella Napa Valley degli anni novanta come guerriglieri che scendono dalle colline, sfidando la supremazia di aristocratici del fondovalle quali Mondavi ed Heitz. Sono passati meno di vent’anni ed è già un classico, il Cabernet della Napa Valley più celebrato e ambito. Nel frattempo, il proprietario Bill Harlan e l’enologo Bob Levy hanno creato un nuovo vino – o meglio, tre nuovi vini – insieme a quello che potrebbe essere un nuovo paradigma, o quantomeno un nuovo nome che farà venire l’acquolina in bocca a intenditori e collezionisti. Il nome è Bond.

Il team della Harlan ha di recente messo in commercio tre vini Bond della grande annata 2001, St. Eden, Melbury e Vecina. Avendoli assaggiati tutti e tre nella cantina dell’azienda, posso garantire che sono harlaneschi – un aggettivo che Robert Parker definisce come “complessità di premier cru di Bordeaux coniugata alla maturità e alla potenza della Napa” – ma sono anche notevolmente diversi dall’Harlan e l’uno dall’altro. Sono in linea di massima vini prodotti con uve di un unico vigneto delle colline intorno alla Napa Valley, una scelta che rispecchia la tendenza ad aumentare la specificità dell’origine man mano che si risale la scala del prezzo e del prestigio (un vino che reca la scritta “Oakville” sull’etichetta sarà probabilmente più caratteristico di uno che cita la California come suo luogo d’origine). Quando dico “in linea di massima” – be’, tenetelo a mente.

Fin da quando aveva cominciato a visitare le grandi aziende vitivinicole francesi nelle vesti di operatore immobiliare appassionato di vini, Harlan sognava di creare in California “un premier cru – una proprietà capace di rivaleggiare con i grandi domaine di Bordeaux”. Prima di dar vita ad Harlan Estate cucendo insieme eccellenti parcelle collinari affacciate sul celebre Martha’s Vineyard, Harlan aveva fondato i Merryvale Vineyards nel 1983. Li concepiva come un’esperienza di studio e apprendimento. Harlan e i suoi soci avevano comprato uve da oltre sessanta produttori della Napa Valley, scoprendo nel far ciò terroir straordinari. “Bob Levy mi disse: ‘Sai, alcuni di questi vigneti sono premier cru’,” racconta Harlan. “Nonostante ciò, per un po’ trascurai questa scoperta.” Ma non per molto.

Mentre alcuni critici si chiedevano se l’Harlan Estate e altri Cabernet ultracostosi e prodotti artigianalmente in quantità molto limitate negli anni novanta non fossero fuochi di paglia, Bill Harlan stava pensando al futuro. “Affinché l’Harlan durasse per generazioni dovevamo assicurarci di non essere diventati troppo esclusivi,” dice. “E dovevamo preparare la nuova generazione. La Harlan Estate era troppo piccola per questo.” Harlan non aveva alcuna intenzione di aumentare la produzione (circa quindicimila casse) del vino della sua tenuta a rischio di comprometterne la qualità. Ma lui e Levy non avevano dimenticato alcuni di quei grandi vigneti provati ai tempi di Merryvale, e cominciarono a parlare ai proprietari.

L’idea di fondo dei vini Bond, che Harlan iniziò a sviluppare più di dieci anni fa, era quella di “una scuderia di purosangue”. La scuderia sarebbe stata gestita dal team della Harlan, compreso Bob Levy e Michel Rolland, la superstar della consulenza e di Mondovino, ma sarebbe stata completamente separata da Harlan Estate. Sarebbe stata un marchio con stelle individuali.

La sfida che dovevano affrontare consisteva nella creazione di un grande vino a partire da uve altrui, un’impresa molto difficile dal momento che gli interessi del venditore e del compratore sono sostanzialmente in contrasto. I viticoltori, soprattutto se vengono pagati a peso, vogliono massimizzare la produzione per massimizzare il profitto, e la grande produzione è nemica del vino concentrato. La soluzione, come molti acquirenti hanno finito per pensare, consiste nel comprare a ettari, e non a peso, incoraggiando i coltivatori a limitare rigidamente la produzione. Nella creazione di Bond, Harlan pare si sia spinto un passo più in là del consueto, elaborando un piano a lungo termine di divisione dei profitti con i viticoltori.

Il nome Bond, oltre a essere un nome di famiglia dal lato materno, ha lo scopo di trasmettere questa idea di mutua collaborazione tra il team della Harlan e i vari coltivatori. Harlan la definisce “Alleanza”. Se tutto questo suona un po’ da invasati, posso solo dire che i grandi vini sono inevitabilmente il risultato di una visione ossessiva. E Harlan ha trovato il modo di tener fede a tali voti. “Ci vogliono dai dieci ai vent’anni,” dice Harlan, “per costruire una reputazione, per far sì che questi vigneti ottengano un riconoscimento.” In base all’accordo con i proprietari, i nomi dei vigneti con cui Bond produce i vini possono essere usati soltanto congiuntamente. Se le vie di un coltivatore e di Bond si dovessero separare, il nome non potrà più esser usato né dall’uno né dall’altro. Ancor più inconsueto è che Harlan si riservi il diritto di rimaneggiare l’assemblaggio dei vini Bond nel caso le caratteristiche particolari di un annata lo richiedano, in modo da assicurare al marchio uno standard costante. Esiste quindi la possibilità che in futuro un Melbury Bond venga calibrato accuratamente con mosto di vigneti Bond o Harlan – un concetto piuttosto bizzarro, dato che fonde il principio del singolo vigneto con l’ideale apparentemente contradditorio di uno stile della casa, che garantisce una sorta di vino virtualmente da un unico vigneto. “Non è ancora accaduto, ma ci lasciamo aperta la possibilità di fare un vino migliore,” dice Harlan, e sull’etichetta non è quindi presente alcuna indicazione geografica. I puristi del vino potrebbero storcere il naso, ma Harlan pensa che “il consumatore informato del ventunesimo secolo vuole una qualità costante”. E probabilmente, per centocinquanta dollari a bottiglia, dovrebbe aspettarsela.

Bond è partita con due vigneti, Vecina e Melbury, di circa tre ettari ciascuno, e ne ha aggiunto un terzo, St. Eden, con la vendemmia 2001. (Il fine ultimo è di avere sei vini Bond.) Basandomi sulle annate 2001 e 2002, le uniche che abbia assaggiato, posso dire che Vecina è il vigneto robusto, strutturato, da film d’azione, il Latour del gruppo, mentre il Melbury (il mio preferito) è più sontuoso e delicato, come un gran Pomerol, e il St. Eden (che ha ottenuto il miglior punteggio di Parker), pare una via di mezzo. I vini del 2003 potrebbero essere ancor più irresistibili di quelli del 2002 e sono assolutamente degni del loro illustre pedigree. Proprio quando penso di essermi stufato dei Cabernet della Napa Valley, ecco che arriva Bond e la sua scuderia di purosangue. Dopo aver assaggiato i vini, penso che sia meglio lasciare le regole ai francesi.