“UN GUSTO BUONO E PERTICOLARISSIMO”
Haut-Brion

L’Haut-Brion ha salvato la mia vita. Be’, magari non proprio la vita, ma senz’altro l’onore. Ero arrivato in ritardo a una cena a La Grenouille, l’antiquato tempio della haute cuisine a New York. Gli altri undici invitati erano già seduti; la nostra ospite, una principessa asiatica, annunciò, “Ecco Jay – è un intenditore di vini. Indovinerà quello che stiamo bevendo.” Prima che potessi trovare un oggetto pesante con cui intimidirla, il sommelier mi aveva porto un calice, versandovi del vino da una caraffa. Indietreggiò di un passo e fece un sorrisetto mentre gli altri invitati mi guardavano incuriositi, così come i clienti ai tavoli vicini.

Quella situazione mi ricordava un sogno in cui mi ritrovavo nudo davanti a una classe. Con un senso di rassegnazione che rasentava la disperazione, misi il naso nel bicchiere. “Haut-Brion,” dichiarai, suscitando un coro di “oooh”. Esaminai il colore, poi feci un sorso: “1982.”

Mi sedetti crogiolandomi nell’ammirazione generale senza preoccuparmi di spiegare il mio metodo – ma adesso il segreto può essere infine svelato. Sapevo che la nostra ospite beveva solitamente premier cru di Bordeaux, e sapevo che se ne intendeva di annate. Fu però una fortuna che il vino fosse Haut-Brion – il premier cru con il profumo più caratteristico e inconfondibile; per usare le parole, nonostante gli errori di ortografia, del grande diarista Samuel Pepys nel primo riferimento a un marchio specifico di vino della letteratura inglese: “L’Ho-Bryan... ha un gusto buono e perticolarissimo che in passato non avevo mai incontrato.” Per essere più specifici, un Haut-Brion maturo ha il profumo di una scatola di sigari contenente un Montecristo, un tartufo nero e un mattone caldo, appoggiati sul cuoio di una vecchia sella. È denso e complesso come un sonetto di Shakespeare. Dopo averlo provato non si scorda mai, e non si smette mai di desiderare di ripetere l’esperienza.

Nel diciassettesimo secolo, il proprietario Arnaud III de Pontac creò il primo marchio di Bordeaux, affinando le tecniche della vinificazione e mandando il figlio a Londra per piazzare il prodotto; Daniel Defoe, Jonathan Swift e Thomas Jefferson furono tra i suoi primi e accesi estimatori. Tra gli appassionati contemporanei figurano i fratelli Wachowski – l’Haut-Brion del 1959 fa un cammeo in Matrix Reloaded.

Nel 1855 l’Haut-Brion fu ufficialmente annoverato tra i quattro premier cru di Bordeaux. Nel 1935, dopo un lungo periodo di declino, la proprietà fu acquistata dal banchiere americano Clarence Dillon e da allora in poi è rimasta saldamente nelle mani della famiglia.

La scorsa primavera, quando pranzai nel castello restaurato del sedicesimo secolo con la nipote di Clarence, Joan, duchessa di Mouchy, le chiesi della leggenda secondo cui Dillon non si era neppure preso il disturbo di scendere dal treno a Bordeaux per vedere la proprietà prima di acquistarla. “È un’assurdità,” disse. “Vide diverse tenute, compresa Haut-Brion. Stava tornando a casa, ed era in mezzo all’Atlantico quando ricevette un telegramma dal suo agente che gli diceva che l’Haut-Brion era disponibile ma avrebbe dovuto agire rapidamente. Mandò una risposta di due parole: AGISCA RAPIDAMENTE.”

Jean Dillon, che passò parte degli anni di formazione a Parigi quando suo padre vi rivestiva l’incarico di ambasciatore americano ed è stata sposata al principe del Lussemburgo, ha una voce che evoca un’educazione privilegiata sulle due sponde dell’Atlantico, profonda e brunita come un vecchio baule da viaggio di Louis Vitton. Dispone inoltre di una riserva di aneddoti di cui Truman Capote sarebbe stato geloso – per nostra sfortuna, probabilmente è troppo ben educata per scrivere un’autobiografia. Dal 1975 dirige la proprietà con l’aiuto di Jean Delmas, l’enologo più rispettato di Bordeaux, che ha ereditato il posto di régisseur dal padre, George, e sostiene di essere nato “in un tino” della tenuta.

La continuità della tradizione di Haut-Brion è chiaramente un dovere sacro per Delmas, vestito in modo impeccabile e solenne, e il cui figlio Jean-Philippe sembra destinato a succedergli, anche se, come Arnaud de Pontac, è stato il pioniere di molte innovazioni, essendo stato tra i primi a impiegare le vasche di fermentazione in acciaio inox e la vendemmia verde – il diradamento dei grappoli d’uva in eccesso per garantire la concentrazione del vino. Dietro il castello tiene un giardino sperimentale di circa trecentocinquanta cloni di vite che vengono vinificati e testati, registrando i risultati su un computer. Ha tentato di spiegarmi il procedimento, ma è bastata un’occhiata ai grafici perché cominciasse a girarmi la testa.

Per secoli, intenditori come John Locke, Jefferson e McInerney hanno compiuto il pellegrinaggio in questa terra santa nella regione delle Graves, appena a sud della città di Bordeaux, per esaminare i terreni arenari di origine glaciale, pieni di ghiaia, il cui colore va dal bianco cenere al marrone espresso; oggi, i vigneti sono circondati su ogni lato dal triste sviluppo della periferia di Pessac. Ma il vino conserva la sua fine, inimitabile, solitaria maestà.

A mio avviso, lo stile elegante e versatile dell’Haut-Brion viene spesso sottovalutato dai critici rispetto ai vini più mascolini della zona del Médoc (e del suo ex rivale e vicino di casa, La Mission-Haut Brion, che è stato acquistato dalla famiglia Dillon nel 1983). Nonostante tutta la sua corposità, l’Haut-Brion è sempre stato un fatto di sfumature più che di potenza. (Quello del 1989 che ha ottenuto cento punti da Parker ne costituisce un’eccezione turbocompressa.) È il premier cru di poeti e amanti, non di amministratori delegati e collezionisti di trofei.

L’Haut-Brion sa mantenere il suo carattere distintivo da un’annata all’altra meglio di qualunque altro premier cru – cercate quelle meno celebrate come l’81, ’83, ’91 e ’94 sulle carte dei vini o alle aste. Non mi è mai capitato di restare deluso da una bottiglia di Haut-Brion. A differenza dei suoi pari settentrionali, può essere squisito già in gioventù, e nonostante ciò migliora per decenni, diventando – come una persona dal carattere forte, per esempio, sospetto, Joan Dillon o Jean Delmas – più tipico col passare degli anni, più inconfondibilmente se stesso. Più “perticolare”, come direbbe Pepys.