STORIELLE DA PESCATORI AL RISTORANTE LE BERNARDIN
Cosa c’è di così eccitante nel mangiare una mucca?
Se ne sta tutto il giorno a ruminare, in attesa che
la portino al macello. Non è un cibo eccitante. Ma
una bestia che nuota liberamente nell’acqua – ecco
qualcosa di passionnant!
GILBERT LE COZE
Da quando i fratelli Maguy e Gilbert Le Coze, nati in Bretagna, hanno portato il loro numero ittico a New York nel 1986, nessun ristorante ha fatto di più per elevare e celebrare il ruolo del pesce in questo paese del Le Bernardin, il tempio a quattro stelle di Poseidone a Midtown, che ottiene sempre i massimi punteggi gastronomici della celebre guida Zagat ed è stato giudicato da Alain Ducasse il miglior ristorante di pesce americano. Quale posto migliore per porre la domanda: cosa bisogna bere col pesce? E chi meglio di Michel Couvreux, il minuto, energico sommelier per rispondere? Quando è in vena maliziosa, Couvreux ama farsi beffe del senso comune e accoppiare il dentice al forno dello chef Eric Ripert, in brodo piccante e amaro di sancocho portoricano, con un rosso potente come il Cornas Les Méjeans di Jean-Luc Colombo del 1999. È tuttavia il primo ad ammettere che il vino bianco sia la scelta predefinita per il pesce – e a difendere la complessità dei bianchi o, come qualcuno di noi preferisce chiamarli, dei vini d’oro e d’argento.
Gli iconografi della vasta cospirazione destroide hanno demonizzato il vino bianco come la bevanda dell’estenuata élite radical-chic di Martha’s Vineyard;6 persino sedicenti appassionati di vino come me spesso vedono i bianchi tutt’al più come preliminari, un po’ come certi buongustai carnivori vedono il pesce – un mero preludio al climax cremisi del menu. Poveri stolti. Probabilmente non hanno mai cenato al Le Bernardin, mai sperimentato l’elettrizzante rivelazione del carnoso persico spigola al vapore di Ripert, in un court bouillon con ananas e limetta, abbinato a un vigoroso, minerale Meursault Les Perrières di Robert Ampeu del 1985. Rammollito? Non credo proprio. L’unica cosa più eccitante di questa rivelazione nei tranquilli locali del Le Bernardin – un incrocio tra una sala da tè zen e il consiglio d’amministrazione dalle pareti in tek di una multinazionale – è lottare con un enorme persico con la canna da pesca a mosca sul ponte di una barchetta tra flutti alti due metri.
La semplice verità è che otto creature marine su dieci preferiscono il vino bianco a quello rosso, anche perché la sua intensa acidità agisce come succo di limone nell’enfatizzare il sapore, in particolare del pesce a carne bianca. “Qualcuno sostiene che il vino bianco è noioso,” dice Couvreux, con un’espressione di stupore infantile sul volto. “Questo è semplicemente falso. La purezza, la complessità, la mineralità di un grande vino bianco...” Si stringe nelle spalle, grattandosi quel che resta della chioma grigia come a dire: “Che altro aggiungere?”
Se Couvreux, che è stato sommelier a L’Arpège, ristorante tre stelle di Parigi, dovesse limitarsi a un vino per tutti i tipi di pesce, sceglierebbe senza alcun dubbio il bianco di Borgogna. “Puligny-Montrachet, Chassagne-Montrachet e Meursault,” dice, “rappresentano metà delle nostre vendite.” Nonostante le spezie asiatiche, e gli influssi spagnoli dovuti all’infanzia di Ripert ad Andorra, questo è dopo tutto un ristorante francese. E il fatto è che i complessi, nevrastenici Chardonnay della Côte d’Or, con il loro fine frutto, la tesa acidità e la spiccata mineralità, sono tra i vini più adatti ad accompagnare il pesce del mondo. A Le Bernardin, potete trovare uno Chassagne di Michel Niellon del 2001 a centoventicinque dollari, o un Montrachet di Etienne Sauzet del ’92 a mille (non male per uno dei migliori produttori e una delle migliori annate del miglior vigneto al mondo per il bianco). Couvreux riserva i grandi, floridi Chardonnay del Nuovo Mondo all’aragosta: “Con la sua ricca consistenza e il sapore intenso, quasi carnoso, l’aragosta può tener testa al frutto e al rovere di vini come Les Noisetiers di Kistler o Peter Michael.”
Negli otto anni in cui è stato sommelier del Le Bernardin, Couvreux ha elaborato regole empiriche che possono essere applicate nel mondo reale, per coloro tra noi che, a differenza dell’avvocato di una multinazionale di mia conoscenza, non si possono permettere di cenare lì tutte le sere. La più importante è quella che chiamo la regola dell’amante/lottatore: “A volte vuoi che il vino si accompagni al cibo, o alla salsa, e a volte il vino deve tener testa al cibo. Devono mettersi reciprocamente alla prova, devono lottare.” Per esempio, in quest’ultimo caso, Couvreux ama controbilanciare il piccante con la dolcezza, come quando abbina la tartare di hamachi con wasabi e una emulsione di zenzero e coriandolo con un Riesling Eroica di Château Ste. Michelle dello Stato di Washington del 2003. “Con i piatti speziati mi piace il Riesling con un po’ di zuccheri residui. La dolcezza controbilancia e contrasta le spezie.”
Quando il pesce viene servito con salse più ricche, Couvreux si concentra sul modo di intonarsi al sapore e alla consistenza della salsa, come nel caso dell’halibut bollito con un’emulsione di aragosta e cardamomo di Ripert, che abbina a un ricco Condrieu La Doriane di Guigal, dalla fragranza floreale e quasi oleoso. Il Condrieu, ottenuto da uve Viognier, profumate e ricche di glicerolo, è una delle sue armi segrete. Per coloro che ancora si struggono per i rossi, le salse più robuste con vino rosso e funghi forniscono un ponte. Il salmone va sempre d’accordo con il Pinot Noir; con la salsa di spugnola di Ripert può persino tener testa a un gran Borgogna terroso come il Le Fonteny Leroy Gevrey-Chambertin del 1999.
Se siete amanti del pesce e bevitori di rosso, avete un modello nello chef Eric Ripert, cresciuto con Joel Robuchon e Jean-Louis Palladin prima di unirsi al compianto Gilbert Le Coze al Le Bernardin nel 1991. Come molti suoi connazionali, Ripert beve del Bordeaux rosso praticamente con qualunque cosa – suscitando una certa esasperazione in Couvreux. D’altra parte, Ripert mi ha confidato che un Montrachet Domaine de la Romanée-Conti del 1972 che ha bevuto di recente è il vino più profondo che abbia mai assaggiato, e dunque per lui c’è ancora speranza.