ROSÉ PROVENZALE

Non ultimo tra i piaceri del vino è il suo aspetto mnemonico – la capacità di risvegliare antichi piaceri, di riportarci indietro nel tempo e nello spazio come una madeleine. Se quest’estate non riuscirò, come pare ormai probabile, ad andare in Provenza, la visiterò spesso nel ricordo – tutte le volte che stapperò una bottiglia di rosato. Il rosé viene prodotto in quasi tutte le regioni vinicole del mondo, ma nella mia mente evocherà sempre il sud della Francia, gli odorosi paesi tra Avignone e Cannes, e il cibo di quella regione.

Molti dei miei pasti più memorabili sono stati innaffiati di rosé, e nessuno è stato più appagante di un pranzo in un minuscolo ristorante vicino alla cittadina di Apt. Avevo appena passato due giorni ad assaggiare l’annata ’98 degli Châteauneuf-du-Pape – grandi mostri tannici. Quel mattino avevo ancora le labbra corrugate per il tannino mentre partivo da Avignone con un amico per un po’ di relax nella regione di Peter Mayle – ehi, assaggiare vini è un lavoro, sul serio. Qualcuno ci aveva consigliato una sosta a Le Mas Tourteron, ma non ricordo di aver avuto particolari aspettative mentre scendevamo infine dall’auto in un parcheggio polveroso in mezzo a un bosco di ciliegi dopo aver sbagliato strada innumerevoli volte. (Lasciate perdere la cartina della guida Michelin in Provenza – è totalmente inutile.) Superammo il cancello di un cortile cinto da un muro che faceva apparire piccolo il casale cui era collegato.

La corte era silenziosa e deserta, con qualche tavolaccio rustico sparso sul prato tra gli alberi. Ai muri e ai rami erano appese gabbie per uccelli. Le fragranze delle aiuole disseminate in giro erano quasi narcotiche. Quel piacevole incantesimo fu infine spezzato dall’arrivo di Philippe Baique, l’abbronzato marito dalla chioma argentea dello chef Elisabeth Bourgeois; ci lasciò scegliere il tavolo e tornò con il menu e la carta dei vini, che comprendeva star di produttori come Guigal e Krug. Noi eravamo però interessati ai talenti locali. Ci mettemmo nelle mani delle proprietario, che ci portò una bottiglia di rosato e ci consigliò di ripararci dal sole con uno dei tanti cappelli di paglia appesi agli alberi intorno a noi. Accaldato e assetato com’ero, mi riusciva difficile immaginare che potesse esistere qualcosa di buono come quel rosato. Non aveva quasi bisogno di cibo, data l’incessante suspense del frutto dolce che duellava con un’acidità di limone. Interpretò tuttavia un importante ruolo da comprimario accanto alla prima portata – un piatto che esito a chiamare zuppa di pomodoro perché era in realtà l’essenza platonica del pomodoro, esaltata dal basilico e da altre erbe aromatiche. Il vino continuò a risplendere con il salmone alle erbe aromatiche al cartoccio, ed ero restio ad abbandonarlo persino con l’arrivo del clafoutis, fatto con le ciliegie appena maturate.

Baique ci disse che il produttore, Domaine de La Citadelle, era solo a qualche chilometro di distanza a Ménerbes, e finì per accompagnarci al castello che ospita l’azienda vitivinicola per incontrarne il proprietario M. Yves Riusset-Rouard, un gentiluomo di campagna dall’impeccabile abito di tweed che fece in parte fortuna producendo i lussuriosi film di Emmanuelle. Oltre al rosé, M. Riusset-Rouard offre dei notevoli rossi basati su uve Cabernet, ma la sua impresa più caratteristica è forse la creazione all’interno della proprietà del Museo del Cavatappi, che ospita la più vasta collezione mondiale di questi indispensabili attrezzi.

Qualche giorno dopo, in un ristorante su una scogliera affacciata sul Mediterraneo a Marsiglia, scoprii l’eccelso compagno del rosé provenzale: la bouillabaisse. Anche se, anzi, soprattutto se siete il genere di persona che pensa di essere troppo sofisticata per il rosato, questo abbinamento vi convertirà. Naturalmente i marsigliesi – compreso l’enologo Jean-Luc Colombo, con cui cenai quella sera – sostengono che è impossibile trovare la bouillabaisse al di fuori del Mediterraneo. La buona notizia è che sebbene nessun vino abbia un sapore migliore a Des Moines rispetto a Corbierres, la cittadina sulla cima di una collina che profuma di lavanda, nell’era del trasporto in container frigorifero dovrebbe essere più o meno la stessa bevanda.

Il vino che stavo tracannando insieme alla bouillabaisse, il Mas de La Dame, è uno dei tanti rosé provenzali di qualità disponibili negli Stati Uniti. Proviene dalla denominazione Les Baux – le colline a sud di Saint-Rémy. E se la straordinaria bellezza del panorama intorno al casale sembra familiare, dipende forse dal fatto che Van Gogh lo dipinse quando viveva a Saint-Rémy. L’azienda si avvale della consulenza di Colombo, che sfreccia su e giù lungo la valle del Rodano sulla sua BMW. Come gran parte dei rosati provenzali, il Mas de La Dame è ottenuto da un assemblaggio di uve rosse – in questo caso, Grenache, Cabernet e Syrah – cui vengono tolte le bucce, che contengono il pigmento, prima della fermentazione.

La denominazione più nota del rosé provenzale è Bandol, situata sulla costa tra Marsiglia e Tolone. Il Domaine Tempier e lo Château Pradeaux sono da sempre i miei preferiti. La denominazione Côtes de Provence è patria del famoso Domaine Ott, che viene venduto nella buffa bottiglia a forma di urna greca e costa circa il doppio dei rosé provenzali ordinari. Tuttavia a volte, con certi cibi, può sembrare più ispirato di un premier cru di Bordeaux, come mi pare di ricordare sia accaduto a un pranzo con amici inglesi in un ristorante chiamato Tetou sulla spiaggia di Golfe Juan. Stavamo festeggiando il compleanno del mio amico Simon. Mangiammo zuppa di pesce e scampi e il Domaine Ott continuava ad arrivare mentre le onde sciabordavano sulla sabbia e i bagnanti camminavano a pochi metri dal nostro tavolo. Non vedo Simon da diversi anni, ma tutte le volte che stappo una bottiglia di Domaine Ott, come ho fatto di recente in una fredda giornata newyorchese, ripenso a quel pomeriggio sulla spiaggia.