STRETTAMENTE
KASHER

La mia prima sbornia fu strettamente kasher, gentile concessione di una bottiglia di Concord Manischewitz sgraffignata ai genitori del mio vicino Danny Besser a Chappaqua, nello Stato di New York. All’epoca mi parve una bevanda meravigliosa. Caddi in uno stagno, ma per il resto uscii incolume, e addirittura euforico, da quell’esperienza. Da allora ho assaggiato qualche altra bottiglia ai sedarim, ed è uno di quegli imbarazzanti piaceri, come i Big Mac, che non dovrebbero necessariamente provocare lo scherno degli adulti. I miei gusti in fatto di vino sono però cambiati, così come il vino kasher.

Il vino ha giocato un ruolo importante nel rituale ebraico e fu prodotto per millenni in Palestina fino alla conquista musulmana nel 636 d.C. “Il vino è un filo costante nella festa ebraica,” secondo The Oxford Companion to Wine, “dato che viene bevuto quando il sabato comincia (kiddush) e di nuovo quando termina (habdalah) con la benedizione, ‘Tu sia benedetto, Signore nostro Dio, Re dell’universo, che crei il frutto della vite’.”

Naturalmente anche altre religioni usano il vino nei riti, e così gli ebrei distinsero i propri sviluppando la tradizione del vino kasher, in base alla quale solo agli ebrei ortodossi era consentito partecipare alla sua produzione e al suo imbottigliamento. Inoltre, la vinificazione fu viziata dalla decisione di piegarsi alle insistenze di certe autorità rabbiniche affinché il vino venisse bollito, in modo che gli infedeli non lo considerassero tale e non lo usassero per i propri riti. Questo vino cotto, Mevushal, che ha perduto gran parte delle proprie caratteristiche e tutte le sfumature di cui parliamo quando parliamo di vino, è riuscito per secoli a tener lontani i veri bevitori.

I vini kasher d’interesse per i lettori di questa rubrica, ebrei o gentili che siano, sono quelli che, in un modo o nell’altro, eludono il procedimento che li rende Mevushal. (Mi dicono che i vini non-Mevushal seguono rigorose direttive kasher, e non devono venir stappati o maneggiati da un cameriere o da un sommelier non-kasher.) Il miglior consiglio che possa darvi è di controllare l’etichetta, e se il vino è Mevushal, lasciate perdere. Tirate dritto. E di corsa.

Per la Pasqua e altre occasioni, ci sono dozzine di vini kasher pregiati da prendere in considerazione, compresi quelli fatti sotto una supervisione ortodossa in tenute come la Léoville-Poyferré di Bordeaux e quelli prodotti in aziende kasher in Israele o in California.

Yarden, sulle alture del Golan, la regione vinicola più fresca d’Israele (lasceremo qui da parte le dispute sulla sovranità), produce vini kasher non cotti per tentare il palato dei gentili. Il Golan è un paradiso agricolo, uno splendido panorama sul quale aleggiano gli spettri del passato. Durante i preparativi per la creazione del vigneto El Rom di Yarden nella cosiddetta Valle delle Lacrime – teatro di un’imponente battaglia durante la guerra del Kippur – fu necessario rimuovere le carcasse di duecentocinquanta carri armati siriani.

A partire dal 1992, i vini Yarden sono stati prodotti da Victor Schoenfeld, un uomo cordiale e timido che, nato in California, si è laureato alla University of California di Davis e ha svolto il proprio apprendistato presso Mondavi e Château St. Jean per poi sposare un maggiore dell’esercito israeliano. Negli ultimi dieci anni Schoenfeld ha plasmato Cabernet Sauvignon kasher di pregio e capaci di invecchiare (e ha da poco scelto come consulente Zelma Long della contea di Sonoma). A una recente degustazione verticale al ristorante Union Pacific di New York, l’annata 1985 era ancora apprezzabile, e molte delle successive eccellenti. Non posso però consigliare senz’altro lo Chardonnay – assaggiando quello del 2000, continuavo ad assicurarmi di non avere schegge di rovere sulla lingua. Yarden produce però un ottimo Blanc des Blancs, un promettente Pinot Noir e un eccellente vino da dessert – tutti a un prezzo estremamente ragionevole.

La Dalton, situata in Galilea, offre uno Chardonnay equilibrato, anche se trovo i suoi rossi dolci e stucchevoli. Una nuova fonte di vini kasher pregiati in Israele è la Recanati, nella valle di Hefer. Uno dei cofondatori è un israeliano di origini italiane, e l’azienda prende il nome dalla città dei suoi avi. A circa venti dollari, il Cabernet Recanati riserva del 2003 è un ottimo affare.

Alcuni tra i migliori vini di Bordeaux sono disponibili in versione kasher, sebbene in quantità limitate, anche grazie all’influenza della famiglia Rothschild. Il miglior affare per la Pasqua è la versione kasher del Mouton Cadet del gruppo Baron Philippe de Rothschild; questo vino di pregio gode di una delle distribuzioni più ampie al mondo. L’annata 2000 ha prodotto un vino di vera distinzione e carattere.

In America, i migliori vini kasher di cui sia a conoscenza sono quelli con l’etichetta Baron Herzog. Herzog ha adottato una tecnica di “pastorizzazione lampo” del mosto a sessanta gradi; questo procedimento, il cui effetto negativo sul vino è impercettibile o quasi, consente di classificarlo come Mevushal. Lo Chardonnay Special Reserve della Russian River Valley è solitamente straordinario, e i rossi sono di buona fattura e a un buon prezzo. Herzog è di proprietà della Royal Wine Corporation, che importa anche una vasta gamma di vini kasher di qualità molto diversa. Alcuni di questi interesseranno gli enofili a prescindere dal loro retaggio religioso, altri piaceranno senza dubbio a coloro che ripensano con nostalgia allo sciroppo d’uva dei sedarim del passato.