ANIMA E TERRA

Nella pittoresca cittadina dai tetti rossi di Wettolsheim, in Alsazia, la gente si barrica in casa al calar delle tenebre. Chissà cosa potrebbe pensare un suo abitante insonne guardando fuori dalla finestra alle tre del mattino e vedendo una luce nei vigneti: il vicino di casa François Buecher che cammina lungo i filari con in pugno una pistola a spruzzo. E cosa penseranno i vicini vedendogli seppellire un corno di mucca pieno di letame nel vigneto? Immagino che gli abitanti di Wettolsheim si siano ormai abituati alle eccentriche abitudini di Buecher, che pratica una forma radicale di agricoltura biologica nota come biodynamique.

Barmès Buecher è uno delle dozzine di domaine francesi che coltivano le uve secondo i princìpi di Rudolf Steiner, il filosofo e poliedrico intellettuale austriaco che fondò il movimento antroposofico. La teoria biodinamica considera la fattoria un’entità autosufficiente all’interno del sistema circostante. L’equilibrio ecologico di un vigneto è determinato dalla vitalità del suolo e dalla diversità degli organismi che vivono in esso, ed è soggetto all’influsso della luna e delle stelle. È facile ridicolizzare la teoria e alcune delle pratiche, cosa che potrebbe spiegare perché molti di coloro che le seguono siano restii a parlarne. Nel corso dell’ultimo decennio, ho notato però che alcune delle più importanti tenute di Francia sono passate alla biodinamica. In Borgogna, Domaine Leroy, Domaine Leflaive e Comtes Lafon – nomi che figurano nell’elenco dei dieci vini più desiderabili per chiunque – sono biodinamici. Non c’è da stupirsi del fatto che la Borgogna sia all’avanguardia in questo approccio agricolo olistico; negli anni sessanta e settanta molti dei grandi vigneti della regione furono bombardati di sostanze chimiche nel malaccorto tentativo di incrementare la produzione. In Alsazia, Zind-Humbrecht, Ostertag, Marcel Deiss, Marc Kreydenweiss e più di una dozzina di altre aziende seguono questi metodi. Nella Loira, i suoi fedeli comprendono Domaine Huet di Vouvray e Nicolas Joly di Savennières, e nella valle del Rodano Chapoutier ha collezionato dozzine di punteggi superiori ai novanta punti da quando si è dato alla biodinamica.

Da tempo diffusa in Nuova Zelanda e Australia, la biodinamica sta appena cominciando a esercitare un influsso in California, dove molti coltivatori cercano nuovi modi per diminuire la loro dipendenza dagli agrochimici e salvaguardare la fertilità del suolo. Se molti vigneti seguono le direttive della Food and Drug Administration per l’agricoltura biologica, alcuni coltivatori californiani si stanno avvicinando alle idee più rigorose di Steiner. “L’agricoltura biologica prevede l’astensione dall’uso di sostanze chimiche, mentre la biodinamica si occupa di rigenerare il suolo e di riattivare i cicli delle sostanze nutritive,” dice Rob Sinskey, di Robert Sinskey Vineyards, che ha adottato procedimenti biodinamici nei suoi vigneti della Napa Valley. La proprietà di Sinskey, la Benziger Family Winery di Sonoma e i Frey Vineyards di Mendocino sono tra le poche aziende vitivinicole californiane certificate dalla Demeter Association, l’ente internazionale che ha raccolto l’eredità di Steiner.

I princìpi fondamentali della biodinamica sono tanto di buonsenso quanto arcane sono alcune delle sue pratiche. I suoi propugnatori sostengono che l’uso prolungato di prodotti di sintesi distrugge la vita dei microbi e degli insetti del suolo. Quando andai a trovare Buecher, mi mostrò l’abbondanza di vermi e coleotteri nei suoi vigneti per poi condurmi sull’appezzamento pesantemente trattato di un vicino, dove non riuscimmo a trovare un solo essere vivente. È la vita che non possiamo vedere – i microrganismi – la più importante componente del suolo. I fautori come Buecher sostengono plausibilmente che le pratiche biodinamiche diano vita a vini migliori, che esprimono le caratteristiche particolari del suolo e del luogo. “I microrganismi del suolo legano la pianta al terreno,” spiega Mike Benziger, che ha cominciato il passaggio all’agricoltura biodinamica cinque anni fa e ha ottenuto di recente la certificazione. “I microrganismi sono gli chef che prendono una combinazione di elementi organici e minerali del vostro suolo e li offrono alla pianta in una forma che è in grado di assorbire.” I fertilizzanti mandano in cortocircuito questo processo, facendo sì che le viti si comportino come clienti inappetenti di un ristorante a tre stelle per via delle flebo cui sono attaccati.

Rifiutando i prodotti di sintesi chimica, la biodinamica si affida ai concimi organici e a preparati olistici contenenti ortiche ed equiseto. I suoi sostenitori affermano che rinvigorendo la salute del terreno e delle viti è possibile eliminare il bisogno di insetticidi. “Abbiamo avuto un vigneto di Chardonnay che ci ha creato dei problemi,” dice Rob Sinskey. “Avevamo la fillossera, e volevamo capire perché si stesse diffondendo così rapidamente. Notammo che il terreno era morto, non c’erano lombrichi. E così cominciammo a studiare Steiner, ad andare in Europa.” Secondo Sinskey, l’applicazione dei princìpi della biodinamica rallentò la diffusione della fillossera e migliorò notevolmente la qualità delle uve, al punto che quelle viti tormentate adesso producono il suo miglior Chardonnay.

I parassiti della vite vengono catturati con carta moschicida e bruciati, e le loro ceneri diluite in una soluzione che viene spruzzata sul vigneto per tener lontani i loro simili. Un altro preparato che a volte viene usato, il corno silice, alias quarzo, viene spruzzato sulle viti tra le tre e le otto del mattino dell’equinozio. Il rilievo dato da Steiner ai ritmi lunari e cosmici può risultare poco convincente agli scettici, ma Benziger porta un argomento intuitivo in suo favore: “La luna muove gli oceani, e le piante sono composte per il novantotto percento d’acqua.” Sinskey afferma: “Steiner parla dell’irrorazione della silice come di un sistema per focalizzare le forze vitali. Io la vedo come una sorta di rifrazione della luce. Non so come funzioni. Dopo aver usato la silice da spruzzo, abbiamo constatato aumenti di zuccheri nel giro di ventiquattro ore.”

La pratica forse più esoterica della viticoltura biodinamica riguarda il sopracitato seppellimento di letame in corna di mucca – che secondo Steiner sono pervase di energia vitale – durante l’equinozio d’autunno. Viene quindi dissotterrato in primavera e diluito in un preparato omeopatico da spruzzo. Personalmente, preferisco bere il frutto di un vigneto trattato con corna di mucca e ortiche che quello di uno coltivato con fosfati e insetticidi. Questa teoria, qualora corretta, parrebbe suggerire che i vini biodinamici abbiano un sapore migliore, e più caratteristico del loro luogo d’origine, nel lungo periodo, oltre a essere più sani, una conclusione che pare confermata dai recenti vini di aziende come Leroy, Leflaive, Zind-Humbrecht e Chapoutier. Non tutti i vini biodinamici sono però eccelsi: Nicolas Joly, della Coulée de Serrant, sembra indifferente al processo della vinificazione, concentrandosi esclusivamente sulla viticoltura; ultimamente i suoi vini mi sono parsi ossidati e addirittura un po’ strambi.

Jancis Robinson, Master of Wine che ha di recente paragonato cuvée biodinamiche e convenzionali della Leflaive, dice: “Credo davvero che i vini ottenuti da uve coltivate efficacemente secondo i princìpi della biodinamica abbiano un sapore diverso – più selvaggio, intenso e pericoloso – come cani da caccia invece di cagnolini da salotto, se vogliamo.”

“Lo faccio perché credo ne nascano grandi vini,” dice Benziger, del quale vale senz’altro la pena assaggiare i vini della tenuta sulla Sonoma Mountain. “Non voglio che la gente li compri perché sono biodinamici. Inoltre spero che questa tenuta passi ai miei figli, e vorrei poter lasciare loro una terra che sta riacquistando la salute, non morendo.”