Non troppo tempo fa, in un luogo lontano noto adesso come Terra di Mezzo, nacque un vino. Il Sauvignon Blanc neozelandese apparve all’improvviso, quasi fosse scaturito già compiutamente formato dalla testa di Zeus, e nell’ultimo decennio ha preso il suo posto accanto allo Shiraz della Barossa Valley e al Cabernet della Napa Valley tra i vini divenuti fulmineamente dei classici. Fu come se i neozelandesi avessero capito come imbottigliare la voce di Kiri Te Kanawa. Da questa distanza sembra che i pochi suoi compatrioti che non furono impiegati come comparse nel Signore degli Anelli fossero impegnati a piantare viti. Quello fu l’Atto Primo. Il Secondo è ancora in corso.
Per coloro tra voi che si sono persi l’Atto Primo, eccone un riassunto: nel 1985 David Hohnen, proprietario dei Cape Mentelle Vineyards nella regione del fiume Margaret, nell’Australia occidentale, andò in Nuova Zelanda convinto che il clima più fresco della South Island potesse produrre un gran Sauvignon Blanc. In effetti la Montana, una grossa azienda della North Island, si era già avventurata a sud per piantare Sauvignon a Marlborough nel ’76, e le prime bottiglie si erano dimostrate piuttosto promettenti. Hohnen incontrò l’enologo Kevin Judd, lo ingaggiò all’istante e comprò della terra nel distretto di Marlborough, nell’angolo nordorientale dell’isola. Non passarono dodici mesi, e la prima annata del Sauvignon Blanc Cloudy Bay, ricavato da uve comprate nella zona, stava già facendo parlare di sé e vincendo premi in Australia e in Inghilterra.
Nel giro di un decennio Cloudy Bay aveva ispirato numerosi imitatori e contribuito a creare un nuovo stile di vino. Per qualche ragione, il Sauvignon Blanc cresciuto nella fresca e soleggiata Marlborough ha un sapore unico e inimitabile – che di sicuro non ha nulla a che vedere con gli snelli Sauvignon con buona mineralità e aromi di limone di Sancerre e Pouilly-Fumé. Questi Sauvignon di Marlborough sono cocktail di frutta che evocano limetta, mango, pompelmo e soprattutto, per quelli che la conoscono, uva spina. Quasi tutto quello che c’è sul cappello di Carmen Miranda, oltre a qualche verdura ribelle, come gli asparagi e i peperoni. A tenere insieme tutto questo è un’ossatura di acidità che deriva dalla lunga, fredda stagione di crescita in questo particolare clima.
A questo punto, il Sauvignon Blanc di Marlborough è ormai una categoria a sé che ha ottenuto un tale successo da ispirare emulatori in Sudafrica e Sud America. È difficile sbagliarsi comprandone una bottiglia, la maggior parte delle quali rientra nella fascia compresa tra i dieci e i venti dollari. Brancott, Seresin, Villa Maria e Thornbury sono alcuni tra i produttori più affidabili. Anche lo Chardonnay se la cava bene a Marlborough, producendo esemplari snelli e nervosi. Gli Chardonnay più esotici sembrano provenire dalla più calda Northern Island, intorno ad Auckland. Quelli della Kumeu River Wines, fondata nel 1944, col passare degli anni si sono creati un seguito di cultori in Inghilterra e in Australia, e vale senz’altro la pena di provarli, così come i robusti Chardonnay della vicina Matua.
Il Pinot Noir è considerato la grande speranza del rosso in questa terra fredda. Sentiamo parlare da anni dell’imminente arrivo di un grande Pinot, soprattutto dalla regione di Martinborough. Recentemente, il nuovo terroir per Pinot di pregio è diventato il distretto di Central Otago. Ne ho assaggiati di buoni di entrambe le regioni – vale la pena provare Martinborough Vineyard e Felton Road – anche se per il momento le viti sono giovani e il Pinot, diciamocelo, è un osso duro.
Uno degli sviluppi più promettenti dell’Atto Secondo sta avendo luogo a Hawke’s Bay, sotto gli auspici di una nuova azienda vitivinicola chiamata Craggy Range, fondata nel 1999, che produce bottiglie sia di Sauvignon Blanc da singolo vigneto che di uve a bacca rossa – un approccio nuovo in Nuova Zelanda. Terry Peabody, il magnate americano trasferitosi in Australia, ha viaggiato sette anni per il mondo in cerca del luogo perfetto in cui convertire una fortuna fondata sulla gestione dei rifiuti in un’azienda vitivinicola di livello mondiale. Peabody si è deciso per Hawke’s Bay, dove le viti crescono sin da diciannovesimo secolo, e si è legato al viticultore neozelandese Steve Smith, un allegro orso polare che, sebbene alla mano come gran parte degli abitanti degli antipodi, è Master of Wine e accanito francofilo.
Il Primo Atto della storia vitivinicola neozelandese si affidò alla tecnologia, ma Smith è un maniaco del terroir, ossessionato dall’idea di esprimere il carattere individuale di particolari vigneti. La prima proposta di Craggy Range fu un Sauvignon da singolo vigneto che era più fine e sottile del tipico Sauvignon Blanc di Marlbororugh, e tuttavia inconfondibilmente neozelandese. Lo scorso anno l’azienda ha messo in commercio uno straordinario Chardonnay da singolo vigneto simile al Puligny chiamato Les Beaux Cailloux.
Il clima oceanico di Hawke’s Bay, che ricorda vagamente quello di Bordeaux, aveva spinto i precedenti coltivatori a piantare Cabernet e Merlot. Un distretto vinicolo caldo e roccioso, Gimblett Gravels, comincia ad apparire ideale per le uve bordolesi; un Merlot del ’98 di questa zona, prodotto da C. J. Pask, ha vinto la medaglia d’oro nella categoria dei rossi di Bordeaux all’International Wine Challenge del 2000. Craggy Range sta per mettere in commercio diversi rossi prodotti in quantità ridotte in quest’area, tra cui un ricco, setoso assemblaggio di Cabernet Franc e Merlot chiamato Sophia e un Syrah votato a diventare un best seller. Se questi vini sono in qualche modo indicativi, alcuni tra i protagonisti del Secondo Atto neozelandese saranno rossi.
Parlando con gli enologi neozelandesi si coglie a volte una certa impazienza, e persino disagio, per lo spettacolare successo del Sauvignon Blanc. Per qualche ragione mi vengono in mente il recente tentativo di John Grisham di raggiungere la fascia alta del mercato con il suo romanzo “letterario” La casa dipinta, e la sinfonia di McCartney. Spero solo che i produttori neozelandesi, nell’esplorare e sviluppare nuovi stili e nuove uve, non dimentichino i propri punti di forza. Il compianto Auberon Waugh, piuttosto avaro di complimenti, una volta disse: “È molto difficile essere i migliori al mondo in qualcosa, ma la Nuova Zelanda si è conquistata tale eccellenza nel Sauvignon Blanc.”