PAZIENZA
CERTOSINA

I segreti della Chartreuse

La storia del vino e dei liquori in Europa è inestricabilmente, e qualcuno direbbe eccessivamente, legata a quella degli ordini monastici della chiesa cattolica; alla fine del Medioevo, nell’immaginario popolare ascetismo era divenuto quasi sinonimo di dipsomania. Cistercensi, benedettini e certosini contribuirono tutti alla conservazione e allo sviluppo della viticoltura, della vinificazione e della distillazione. Tra i più gloriosi esempi della simbiosi tra gli spiriti e la vita spirituale figura il misterioso elisir creato dall’ordine certosino, uno dei più antichi della cristianità.

L’ordine fu fondato nel 1084 dall’erudito asceta Bruno all’ombra del massiccio della Chartreuse vicino a Grenoble. Nel 1605, i monaci del monastero certosino di Vauvert ricevettero il dono di un manoscritto intitolato Un elisir di lunga vita dal maresciallo d’artiglieria di re Enrico IV. Già antico quando i monaci ne entrarono in possesso, il manoscritto ha una storia tanto avventurosa quanto quella dell’Arca dell’Alleanza così come è stata raccontata da George Lucas. La formula lì contenuta era così complessa che ci vollero più di cent’anni prima che l’apotecario del quartier generale dell’ordine nella Grande Chartreuse ne svelasse infine i misteri. La prima partita della bevanda che avrebbe poi preso il nome di Chartreuse fu creata nel 1737, e divenne rapidamente popolare nella regione.

Dopo la Rivoluzione francese, i membri degli ordini religiosi furono costretti all’esilio. I certosini se ne andarono nel 1793, dopo aver fatto una copia del manoscritto e averla data a un monaco cui era stato consentito di rimanere nel monastero, mentre l’originale fu affidato a un secondo monaco che venne poi arrestato dalle autorità e mandato in prigione a Bordeaux. Miracolosamente, non fu perquisito e riuscì a passare il manoscritto a un sostenitore dell’ordine, che lo fece arrivare di nascosto alla Grande Chartreuse da un terzo monaco, che si nascondeva nei pressi del monastero. Convinto che l’ordine non avesse un futuro, il monaco vendette il manoscritto a un farmacista di Grenoble, che non riuscì però a capire la complessa ricetta. Quando Napoleone emanò l’ordine di mandare tutte le formule di farmaci al ministero dell’interno, il farmacista obbedì. La ricetta fu però immediatamente respinta e rispedita al mittente. Alla sua morte, gli eredi donarono il manoscritto ai monaci, che erano tornati nel monastero nel 1816.

I monaci della Grande Chartreuse sperarono forse che la storia li avrebbe lasciati in pace, ma nel 1903 il governo francese nazionalizzò la distilleria, espellendo nuovamente i certosini che ripararono in Spagna con il prezioso manoscritto. Costruirono una nuova distilleria a Tarragona, e un’altra a Marsiglia, che continuarono entrambe a produrre l’autentica Chartreuse. Il governo vendette nel frattempo il marchio Chartreuse a un gruppo di distillatori che mise in commercio una bevanda che non aveva alcun rapporto con l’originale e fallì nel 1929. Gli amici dell’ordine ne acquistarono le azioni ormai prive di valore e le offrirono ai monaci, che riacquisirono così il controllo del marchio Chartreuse. Non fecero però in tempo a tornare nel loro monastero che una valanga si precipitò giù dalla montagna e distrusse la distilleria. Ne fu costruita una nuova nella vicina Voiron, anche se la selezione e l’amalgama delle erbe vengono ancora compiuti nel monastero da tre monaci cui è stato affidato il segreto della ricetta.

Nel corso dei secoli la Chartreuse ha ispirato un culto laico. A suggellarne l’aura di misterioso fascino a inizio Novecento è stato probabilmente il supremo anfitrione, Jay Gatsby, che secondo il suo biografo Nick Carraway serviva il liquore nel corso delle sue scintillanti feste a Long Island. Trovo stimolante contemplare questa storia passandomi un bicchiere di Chartreuse sotto il naso; la sopravvivenza della ricetta, con le sue oscure origini, sembra addirittura miracolosa. Altrettanto stimolanti sono le fragranze del bicchiere, che forniscono infinite possibilità di speculazione – una delle ragioni per cui la Chartreuse interessa i fanatici del vino come me. Il principale tratto distintivo è la nota di anice/finocchio/liquirizia. Dozzine di altre sfumature ti stuzzicano prima di svanire nei fumi dell’alcol. Pare che nella produzione della Chartreuse entrino oltre centotrenta varietà di radici e foglie (compresa, a quanto si dice, l’artemisia dell’assenzio).

Il mio amico Jim Signorelli, appassionato della Chartreuse e regista, sostiene che basti annusarla. Hunter S. Thompson, un altro suo adepto, presumibilmente lo tracannava. Alice Waters, a sua volta grande estimatrice della Chartreuse, è probabilmente in grado di snocciolare più erbe aromatiche presenti nel liquore della maggior parte di noi. Attualmente ne vengono prodotti tre tipi. La Chartreuse verde, quella standard, fu adattata inizialmente dalla ricetta originale nel 1764 e contiene il cinquantacinque percento d’alcol, leggermente più leggera dell’elisir di lunga vita originale che ne conteneva il settantuno. Ancor più leggera è la Chartreuse gialla, distillata per la prima volta nel 1838, con un tenore alcolico di quaranta gradi. Una piccola parte della produzione viene selezionata per un’ulteriore maturazione nel legno e venduta in riproduzioni delle bottiglie del diciannovesimo secolo come Chartreuse VEP (Vieillissement Exceptionnellement Prolongé). È possibile, soprattutto in Francia, trovare bottiglie millesimate della distilleria di Tarragona, che chiuse i battenti nel 1989.

Gli appassionati attribuiscono varie proprietà curative al liquore, concepito inizialmente come un farmaco per prolungare la vita. Un enologo francese di mia conoscenza insiste nel dire che una miscela composta per metà dalla Chartreuse verde e per metà da quella gialla sia il miglior rimedio contro i postumi della sbornia, anche se non ho ancora trovato il coraggio di mettere alla prova questa teoria.