Se venite nel mio appartamento nel periodo delle feste, molto probabilmente vi verrà servito un bicchiere di Egly-Ouriet, Larmandier-Bernier, Jacques Selosse o di qualche altro piccolo coltivatore della Champagne. È vero che la mia situazione patrimoniale del 2005 era tutt’altro che all’altezza del Cristal ma, per restare al nostro tema, questi e altri piccoli coltivatori-produttori rappresentano la tendenza più entusiasmante nel campo delle bollicine. Se siete abbastanza fortunati da trovare un tavolo al Per Se di Thomas Keller a New York, scoprirete che al calice propongono Champagne di piccoli coltivatori come Pierre Gimonnet.
Adesso, all’alba del ventunesimo secolo, tra i maniaci dell’uva è un principio universalmente riconosciuto che il grande vino sia un prodotto della vigna, essendo il risultato di uve mature, rese contenute e di una meticolosa viticoltura che lascia emergere la vera personalità del vigneto. Eccetto, naturalmente, nel caso della Champagne, dove i coltivatori pagati a peso fanno crescere tutto quello che le loro povere viti riescono a sopportare, colgono il frutto prima che sia maturo e vendono queste uve esangui a grosse cantine industriali che le mescolano tutte insieme. Gli Champenois citano a volte l’unicità del loro terroir come la ragione per cui fanno il miglior vino spumante del mondo, e tuttavia in concreto ignorano solitamente le implicazioni di tale concetto.
Dopo aver passato una giornata a visitare il quartier generale delle Grandes Marques di Champagne a Épernay, è stimolante bussare alla porta della casa, metà in legno e metà in muratura, di Francis Egly nel paesino di Ambonnay, nel cui atrio si inciampa letteralmente nei giocattoli dei bambini. La madre di Egly offre biscotti mentre la moglie lo chiama a gran voce dalla porta sul retro. Alla fine Egly appare, scusandosi per le mani sporche di terra – era nelle vigne.
Ero andato a cercare Egly dopo l’illuminazione avuta qualche mese prima quando il sommelier di Daniel, Jean Luc Le Dû, mi aveva porto un bicchiere di Champagne. “Wow!” Avevo detto. “Questo sì che è vino!” Col che intendevo che sarebbe stato buono anche senza bollicine. E a colpirmi fu il fatto che, quando lo assaggiai con Egly nel suo immacolato chai nuovo di zecca, a differenza di molti giovani Champagne in stadio pre-bollicine, il suo aveva il sapore di un buon vino. Come la maggior parte dei grandi viticoltori di tutto il mondo – anche se come pochissimi coltivatori nella Champagne – nel pieno dell’estate Egly sfronda regolarmente le sue piante di metà dell’uva per favorire la maturazione di quella restante.
“Quando ho cominciato a importare questi piccoli coltivatori, la gente cui vendevo Borgogna di piccoli domaine non era interessata allo Champagne,” dice David Hinkle di North Berkeley Imports. “Se volevo attirare l’attenzione di queste persone, doveva trattarsi in primo luogo di vino, e poi di Champagne.” Terry Theise, il fanatico del Riesling che nel 1997 ha aggiunto al suo portfolio diversi Champagne di piccoli coltivatori, la mette così: “Lo Champagne, come ogni altro vino, è affascinante nella misura in cui è caratteristico.” A me pare ovvio. Ma le aziende più grandi di Champagne direbbero che mescolando i vini di posti diversi si crea una somma superiore alle parti.
La Champagne è un mondo a sé, ma alcuni dei migliori produttori sono quelli come Egly, ossessionato dalla Borgogna, che cercano ispirazione in altre regioni. Pierre Larmandier, della Larmandier-Bernier, ha lavorato in Alsazia e in Borgogna, dove ha scoperto con sorpresa che i piccoli coltivatori godevano semmai di una più alta considerazione delle grandi industrie vinicole. Con minimi interventi in cantina, Larmandier-Bernier (da non confondere con Guy Larmandier, un altro eccellente domaine) produce raffinati e complessi Champagne a predominanza di Chardonnay, compreso un Blanc de Blancs da uve Chardonnay in purezza.
Se lo Champagne artigianale è un movimento, Anselme Selosse, noto anche come “il matto di Avize”, potrebbe esserne considerato il leader – l’Angelo Gaja dello Champagne. Selosse segue i princìpi della biodinamica, limita le rese e produce il suo vino con l’intento di esprimere il carattere del suo vigneto. Avize si trova nella Côte des Blancs, dove predomina lo Chardonnay; al pari di Ambonnay, territorio del Pinot Noir, Avize è uno dei diciassette paesi classificati come grand cru.
Questi piccoli produttori rappresentano meno del due percento del mercato interno. Tuttavia la loro presenza non passa inosservata. Moët ha recentemente lanciato tre Champagne ottenuti da uve di un’unica vigna.
Più piccolo non significa sempre migliore. Di solito ho in frigorifero una bottiglia di Veuve Clicquot o Perrier-Jouët, e sono un grande amante di Grande Cuvée Krug, Grande Année Bollinger, Dom Pérignon, Comtes de Champagne Taittinger e diverse altre Grandes Marques. Quest’anno sto però facendo più spazio nella mia cantina per gli Champagne artigianali.