LA DISSOLUTA
FATA VERDE

Assenzio

Si respira sicuramente un senso d’illegalità, con tutto l’armamentario, gli appositi bicchieri e cucchiai, la fontana d’argento e cristallo simile a un narghilè al centro del tavolo, e gli aspetti rituali della preparazione. Avverto quel formicolio di attesa che provavo un tempo quando le droghe venivano preparate per esser consumate. Siamo seduti in un cortile nel quartiere francese di New Orleans. Il nostro contatto è Ted Breaux, un uomo di New Orleans piccolo e muscoloso, con una cresta appuntita secondo la moda attuale. Breaux sta versando lentamente l’acqua dalla fontana in un imbuto d’argento in equilibrio su un bicchiere di vetro; il liquido smeraldino nel bicchiere diventa gradualmente latteo con l’infusione. Ci stiamo accingendo a bere assenzio.

Un pomeriggio di una decina d’anni fa, Breaux stava gironzolando nel quartiere francese quando scorse alcuni bicchieri e cucchiai da assenzio nella vetrina di Lucullus, un antiquario specializzato nella arti culinarie. “Mi parve affascinante che ci fosse un tipo speciale di cristalleria e quell’armamentario,” disse Breaux. “Era la prova che la bevanda esisteva.” Breaux, laureato in scienze dell’ambiente e appartenente a una famiglia che arrivò a New Orleans nel 1724, era stato incuriosito dal liquore proibito fin dai tempi del college, quando un altro specializzando in chimica vi aveva accennato. “Lo cercai nel Merck Index. Dice che l’ingestione dell’assenzio può provocare allucinazioni, convulsioni e morte. Mi domandai perché la gente ne fosse stata tanto attratta.” Quella stessa settimana notò per caso in un catalogo di libri Absinthe di Barnaby Conrad. Ordinò il libro, avviò una corrispondenza con l’autore e scovò altri ricercatori. Fu l’inizio di un’ossessione.

Breaux non era certo il primo a subire il fascino della cosiddetta Fata Verde. Alcuni tra i più grandi artisti del diciannovesimo secolo e della prima parte del ventesimo ne furono stregati; scrittori come Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Oscar Wilde – un appello dei decadenti premoderni – non si limitarono a bere la Fée Verte, ma ne scrissero diffusamente. Pittori come Manet, van Gogh, Gauguin e Toulouse-Lautrec erano adepti del suo culto. L’assenzio fu per il simbolismo e il postimpressionismo ciò che l’eroina è stata per il grunge di Seattle. Gli iniziati attribuivano poteri mistici, contemplativi e persino allucinatori alla loro bevanda prediletta; gli avversari la consideravano un pericoloso veleno. Entrambe le fazioni concordavano sul fatto che si trattava di qualcosa di più dell’ennesima bevanda alcolica. Nel 1905, quando un agricoltore svizzero uccise la moglie e i figli sotto l’influenza, a quanto pare, dell’assenzio, cominciarono a montare le proteste e le pressioni per vietarlo. Nel giro di un decennio era ormai proibito in tutta Europa e negli Stati Uniti.

Lo status di fuorilegge non fece che accrescere la mistica dell’assenzio nel corso degli anni. Ted Breaux, per esempio, fu ossessionato dal mito. Dopo aver scoperto una ricetta in un vecchio libro francese sull’argomento, decise di produrne una piccola partita. “La feci e la assaggiai e rimasi perplesso,” dice seduto nel cortile dietro Lucullus. “Non aveva certo il gusto di qualcosa in grado di raggiungere una simile popolarità. Ma poi un amico tirò fuori una bottiglia di assenzio Edouard Pernod d’annata.” Fu come se un paleontologo dilettante avesse messo all’improvviso le mani su un triceratopo in carne e ossa. “Avevo infine la possibilità di assaggiarlo.” Poco dopo, trovò una seconda bottiglia grazie agli amici di Lucullus. “Capii perfettamente perché fosse così popolare. Ma gli esemplari d’annata erano tanto diversi da quello che avevo prodotto da scoraggiarmi.” Non per molto, però; mandò ad analizzare i campioni d’annata in un laboratorio francese e riprese a fare esperimenti. Nel frattempo, le nuove norme dell’Unione Europea soppiantarono le vecchie leggi nazionali con cui l’assenzio era stato messo al bando. Tramite un amico, Breaux si mise in contatto con un francese che aveva acquistato una vecchia distilleria nella Loira con alambicchi originali per l’assenzio, grazie ai quali adesso produce tremila bottiglie all’anno.

L’assenzio viene prodotto distillando le erbe in alcol e poi trattando nuovamente il distillato in infusione con erbe scelte. Il colore di un assenzio fatto a dovere deriva dalla clorofilla. Quello di Breaux è molto più complesso e raffinato degli altri due presunti assenzi che ho assaggiato – un filo più amaro, con un forte sapore d’anice in mezzo e un tocco di finocchio e di menta nel finale. “Alcune erbe sono eccitanti, altre sedative,” dice Breaux. “Se le si combina, ci si ritrova con una sorta di blando speedball d’erboristeria.”

Questa descrizione rende piuttosto bene lo stato in cui mi trovo dopo un paio di bicchieri dell’assenzio di Breaux, che supera gli ottanta gradi prima di venir diluito con l’acqua. Mi sento perfettamente vigile e al tempo stesso lievemente ebbro, quasi mi stessi librando appena al di sopra della compagnia pur restando assolutamente presente e partecipe della conversazione. Avverto un formicolio alla nuca e sulla punta delle dita, ma non capisco se ciò dipenda dal leggero freddo novembrino o dal liquore. Noto per la prima volta le chiazze bionde nei capelli di Breaux, che sembrano minuscole fiamme. Ho la sensazione che stia per accadere qualcosa di meraviglioso. Questo stato in cui mi trovo mi ricorda più che altro quando mi mettevo comodo dopo essermi fatto un paio di piste e un bicchierino di Tequila. Ma è in qualche modo diverso. Breaux sta parlando del tujone, il composto presente nell’assenzio che si sospetta sia il suo elemento psicoattivo e potenzialmente pericoloso... di come le imitazioni a buon mercato rovinarono la reputazione del vero assenzio... di come la sua casa sia stata distrutta dall’alluvione provocata da Katrina.

Un po’ più tardi fluttuiamo fino alla Old Absinthe House, il celebre e malandato bar su Bourbon Street, specializzato in cocktail a base di assenzio prima del proibizionismo. Ancora più tardi vagheremo in auto per le strade desolate delle zone devastate dall’alluvione intorno al quartiere francese. Ma prima di ciò, per un’oretta perfetta, rimango sotto l’incantesimo della Fata Verde, ascoltando attentamente Breaux e ascoltandomi parlare con insolita accuratezza e grazia, o almeno così mi pare in quei momenti.