La mia amica Jancis Robinson, che ha festeggiato diversi compleanni con me, mi ha chiesto di mandarle un resoconto del mio quarantottesimo, insieme alle note di degustazione, da pubblicare sul suo sito web.
Cara Jancis,
ecco cosa ho bevuto la settimana scorsa in occasione del mio compleanno. Naturalmente avevo fatto diciotto piani diversi, molti dei quali prevedevano che mi mettessi dietro ai fornelli. Quando l’elenco degli invitati ha raggiunto quota nove ho deciso però di lasciare che a cucinare pensasse chi è del mestiere. Non volevo tuttavia lasciare il vino a chi è del mestiere – ossia non volevo pagare un ricarico del duecento o del trecento percento su vini che con ogni probabilità non sarebbero stati comunque maturi – situazione in cui ci troviamo quando andiamo a mangiare in un posto alla moda di New York. Così ho scelto il Canton, uno dei pochi ristoranti in cui sapevo che non si sarebbero irritati vedendomi arrivare con una cassa di vino e calici Riedel. (A dire il vero, avevo tredici bottiglie, dato che è il giorno in cui sono nato e il mio numero fortunato.) Il tipo di cucina era una sfida: cantonese. Non si può dire che sia la prima scelta dell’enofilo tipico. Ma io amo le sfide.
Cominciai le danze con un Magnum di Dom Pérignon del ’90, una grande annata che si è fatta bere con piacere fin da quando è stata messa in commercio. Anche in questa gran annata possiede una delicatezza femminea, soprattutto se paragonato a qualcosa sul genere del Bollinger. Sfortunatamente, l’ho paragonato al rosé Veuve Clicquot del 1990, che parve un seguito un po’ goffo al DP ma fece la sua figura con l’aragosta alla cantonese – con un pronunciato aroma di lievito, che è sempre una buona cosa insieme alla salsa di soia, anche se una delle bottiglie aveva un leggero sentore di tappo. Col senno di poi, sarebbe stato meglio uno spumante a base di Chardonnay. Poi abbiamo bevuto un Riesling Clos Hauserer Zind-Humbrecht del ’99, una meraviglia: molto grasso per un Riesling, con fragranze di mela e un lungo, dolce finale – un residuo zuccherino perfettamente definito. Un abbinamento quasi perfetto per il piccione alla cantonese avvolto in foglie di lattuga, dato che questo piatto contiene a sua volta una discreta quantità di zucchero.
Volevo passare finalmente al rosso, e l’unico che mi è venuto in mente per questo tipo di cucina è stato lo Zinfandel – per essere più specifico, un mostro da vecchie viti nel nuovo stile superconcentrato. Il Jackass Hill Martinelli, per la precisione – a mio parere il migliore Zin d’America. Quello del ’96 era al suo apice: i tannini svaniti, l’aroma di more ancora lì. Quello del ’99 invece, di per sé un brutale colosso, è migliorato con l’anatra alla pechinese e soprattutto con la bistecca e cipolle alla cantonese. (Credo che questi vini andrebbero tracannati entro i sei o sette anni d’età – e i loro effetti mitigati con aspirina e cardo mariano, dato che superano i diciassette gradi.) Il Riesling SGN Kreydenweiss è stato un dolce finale, anche se non me lo ricordo troppo bene. Due invitati si sono quindi persi per ore a Chinatown. Il mio amico chef Mario Batali e io abbiamo proseguito nel West Village la serata cui nelle ore piccole ha posto fine la mia fidanzata con una telefonata piena di minacce e promesse. Continuo a ignorare cosa sia accaduto a una scatola di calici Riedel e ai miei regali di compleanno. Tutti si sono divertiti.