Dedicai la mia primissima rubrica enologica allo Chardonnay californiano, un genere sul quale nutro un certo scetticismo. Verso la metà degli anni novanta, il tipico Chardonnay di pregio della Napa Valley o della contea di Sonoma aveva molto in comune col frappè alla vaniglia o, per usare una metafora, con la regina di Baywatch, Pamela Anderson. Produttori superblasonati come Marcassin, Kistler, Peter Michael e Talbott trascendevano il genere – creando un nuovo standard di ricchezza, potere e concentrazione grazie all’applicazione di metodi della Borgogna a uve californiane ipermature – con risultati di opulenza unica. Troppi dei loro vicini, tuttavia, stavano facendo bianchi semplicemente grassi, chiassosi e ustionati.
Forse è solo una coincidenza che io abbia cominciato a notare una nuova generazione di Chardonnay nel periodo in cui Pamela Anderson annunciò la sua intenzione di sottoporsi a un intervento per la riduzione del seno. (Lo so, Pam se l’è fatto di nuovo ingrandire. Mi dovrò rassegnare.) Nelle degustazioni e nelle conversazioni con i produttori di Chardonnay di nuovo corso, scopro tuttavia una piacevole enfasi sulla finezza e l’eleganza. Il mondo del vino, come qualunque altro, ha le sue mode e tendenze, e nel regno dello Chardonnay californiano di fascia superiore queste caratteristiche sono “in”. Parole come elegante, agile e snello adesso esprimono un ideale. Persino nervoso è positivo. Significa, credo, acido, e acidità non è più una brutta parola. (L’acido è essenzialmente lo scheletro sul quale viene drappeggiata la carne zuccherina del vino.)
I produttori di Chardonnay californiano hanno sempre citato a modello la Borgogna; dopotutto è la patria dello Chardonnay, e di grandi vini di uve Chardonnay quali il Montrachet e il Meursault. Tuttavia anche le zone più fredde della California, come Carneros, la Russian River Valley e la Santa Ynez Valley, sono però più calde della Borgogna – e naturalmente il suolo è differente. Applicando le stesse tecniche si otterranno risultati diversi. In California si raggiunge di rado la fragrante definizione scultorea delle note minerali presenti nei bianchi di Borgogna; né questi attingono spesso quella decadenza di frutti tropicali dello Chardonnay californiano. “In gran parte della California non si può produrre il Montrachet – fa semplicemente troppo caldo,” dice David Ramey, che ha cominciato a produrre Chardonnay a proprio nome nel 1996. “Però puoi mirare all’equilibrio tra ricchezza e finezza.”
I più recenti Chardonnay di Ramey esemplificano questo nuovo stile brioso ed elegante, anche se ama definirli “rétro” per i suoi metodi tradizionali e minimalisti. Con i suoi occhiali dalla sottile montatura in metallo e i capelli brizzolati, Ramey è a sua volta piuttosto brioso ed elegante, e si veste con un gusto minimalista, scegliendo abiti tanto informali quanto costosi, cosa inusuale nelle cantine della Napa Valley. Ha sviluppato il suo talento enologico presso Chalk Hill, Simi, Matanzas Creek e Dominus. Fino a poco tempo fa è stato consulente di Rudd, contribuendo in modo decisivo a portare l’azienda alla ribalta; poi l’ha lasciata per concentrarsi sul proprio marchio. Sebbene gli Chardonnay di Ramey abbiano molto del frutto maturo, possiedono anche una vibrante acidità che li distingue da molti Chardonnay californiani. Paragonato a un Kistler Durrell Vineyard, lo Chardonnay Hyde Vineyard di Ramey sembra un Modigliani esposto accanto a un Botero.
Un altro astro nascente dello Chardonnay è Robert Sinskey, che si è fatto originariamente un nome con Pinot e Merlot. Il vino biodinamico del suo Three Amigos Vineyard di Carneros ha un’anima d’acciaio come il Puligny-Montrachet, un po’ come una lama di Ginsu nascosta in un ananas. Sinskey ottiene in parte questa briosa acidità saltando il processo malolattico, la fermentazione secondaria che mitiga l’acido malico. “In California,” dice, “la sfida è mantenere l’acidità. Non ha senso ridurla per poi reinserirla artificialmente” – come fanno molti produttori in California, dove l’aggiunta di acido tartarico è una procedura standard. Lo stile di Sinskey si accompagna meglio al cibo, che è quasi la ragion d’essere dell’acido nel vino. “Nessuno vuole mangiarsi il pesce con un frappè,” dice Sinskey. “Una volta si pensava alla competitività, a creare un best seller. Adesso si pensa al consumo e alla cucina.” Sinskey attribuisce la raffinatezza di molti tra i recenti Chardonnay californiani a un nuovo apprezzamento del vigneto stesso, e a una svalutazione dei procedimenti high tech più invasivi.
A Ted Lemon di Littorai non mancano certo i requisiti per tirare in ballo la parola “borgognone”, essendo stato l’enologo del Domaine Guy Roulot di Meursault dal 1982 al 1984. Nella fredda Meursault si è sforzato di vendemmiare il più tardi possibile, ma nei vigneti della Sonoma occidentale di Littorai lo fa prima di molti dei suoi vicini, per evitare che le uve diventino troppo flaccide. Come Sinskey, Lemon tenta di evitare lo stile best seller – la grossa, grassa, bomba fruttata maturata in botti di rovere. Per quanto notevoli, questi prosperosi Chardonnay sopraffanno tutto tranne l’aragosta con il burro. “C’è uno scarto,” dice Lemon, “tra l’eleganza e la raffinatezza nella nostra cucina e nel nostro vino.”
Laggiù nelle fresche valli a nord di Santa Barbara, lo stile di Chardonnay più magro e teso è più comune di quanto non lo sia in quelle di Napa e Sonoma. Greg Brewer e Steve Clifton, relativamente due nuovi arrivati, stanno producendo con il marchio Brewer-Clifton gli Chardonnay del Nuovo Mondo più nervosi che mai siano stati fatti – così freschi e vibranti che li ho scambiati per Chablis. L’irsuto e loquace Jim Clendenen, il cui stile personale è un incrocio tra l’heavy metal e gli Hell’s Angels, produce alcuni tra gli Chardonnay più fini e capaci di maturare d’America. Se all’inizio era una voce che gridava letteralmente nel deserto della Santa Maria Valley, facendo per due decenni sofisticati Chardonnay borgognoni ha influenzato molti di coloro che l’hanno seguito in questa regione. “La cosa più importante è raccogliere le uve in modo equilibrato,” dice Clendenen, che si fa beffe dell’idea che uno Chardonnay con una gradazione di quindici gradi possa avere equilibrio, e che è stato spesso criticato per vendemmiare uve acerbe. Clendenen, che da quando ha cominciato nel 1982 è diventato e passato di moda diverse volte, crede che il mondo del vino americano stia tornando senz’altro a muoversi nella sua stessa direzione.