La vista dallo svincolo dell’autostrada è emblematica del “problema Soave”. La prima cosa che si nota al di là del parabrezza è un enorme magazzino verde limetta con un tetto dal profilo che ricorda l’ala di un pipistrello, una sorta di visione retro-futurista dei disegnatori delle Superchicche. In una caliginosa lontananza, fluttuanti oniricamente sopra la grande insegna SOAVE BOLLA che sovrasta il magazzino, si scorgono i bastioni medievali del castello di Soave, appollaiato sulla cima di un colle. Dal ridicolo al sublime...
Dovrebbero mettere un cartello con la scritta CAVEAT EMPTOR vicino all’uscita.
Secondo gli italofili Joe Bastianich e David Lynch, autori dell’indispensabile Vino Italiano, Soave è “il distretto vinicolo più calunniato, incompreso e discusso d’Italia”. La maggior parte di noi pensa al Soave come all’insipida bevanda della nostra giovinezza ignorante. C’è però una manciata di ostinati idealisti che con le locali uve Garganega crea vini eccezionali sulle colline che si estendono ondulate a est di Verona.
Il fatto che uno dei due migliori produttori si sia recentemente distaccato dalla denominazione la dice lunga sull’attuale situazione di Soave. “È acqua,” dice del Soave ordinario. “Zero aroma, zero gusto.” Roberto Anselmi, guidatore di Porsche e sempre vestito con abiti neri di Prada, è un uomo di queste parti la cui natura affabile e socievole si scontra continuamente con il suo spietato perfezionismo. Poco dopo avermi dato il benvenuto nei suoi uffici di un elegante modernismo a Monteforte, si infuria per il debole residuo d’ammoniaca di alcuni prodotti detergenti nella sala di degustazione e ordina alla figlia di spostare il nostro assaggio nella vicina cantina, prendendo nota di rimproverare gli addetti alle pulizie. Per molti aspetti mi ricorda Angelo Gaja, un altro italiano ipomaniaco che ha ereditato un’azienda vitivinicola in una zona sottovalutata e ha deciso di partire alla conquista del mondo.
Il padre di Anselmi era un produttore di successo che sfornava milioni di bottiglie di vino andante dalle uve acquistate dai coltivatori. Dopo esser tornato a casa con una laurea in enologia e alti fini morali, Roberto ha chiuso la ditta e si è accinto, di concerto con l’amico e vicino Leonildo Pieropan, “a fare una rivoluzione”.
La rivoluzione è cominciata, come spesso accade, sulle colline. O forse è stata una controrivoluzione: la zona tradizionale del Soave Classico comprende solo i fianchi delle colline, con il loro terreno leggermente vulcanico e calcareo. Nel 1968, quando le autorità italiane crearono il Soave DOC ufficiale, le pressioni dei grandi possidenti portarono a una notevole espansione della zona, fino a includere vaste aree di pianura fertile e molto feconda. (Ignorando l’antica massima romana, secondo cui Bacco ama i colli.) Anselmi concentrò i suoi sforzi sui ripidi fianchi delle colline e adottò nuove tecniche di viticoltura al posto della vecchia e superproduttiva forma di allevamento della pergola. A partire dalla fine degli anni settanta ha cominciato a produrre un Soave ricco e serio, adoperandosi affinché venisse elaborato un disciplinare più severo.
Anselmi non è riuscito a convincere le autorità a imporre uno standard superiore ai suoi vicini. “Dopo venticinque anni ho deciso di divorziare dal Soave,” dice. Dovrete quindi fidarvi della mia parola quando vi dico che i vini di Anselmi sono sostanzialmente dei Soave – l’essenza di ciò che la Garganega (coadiuvata da un pizzico di aromatico Trebbiano di Soave) di questa regione può produrre – un vino più corposo e fruttato dei normali bianchi italiani e con note minerali che possono far pensare a un buon Chablis.
L’amico di Anselmi, Leonildo Pieropan, resta sposato alla denominazione Soave; lui e i suoi progenitori sono certo la cosa migliore che sia capitata a questa sciacquetta delle regioni vinicole. Per stile e temperamento è l’antitesi dell’amico Anselmi: un tipo casalingo, timido e occhialuto che predilige i cardigan e vive con la famiglia in una villa meticolosamente ristrutturata appena oltre le merlate mura medievali di Soave.
Nonostante la sua reputazione di inflessibile tradizionalista, Pieropan ama la tecnologia, e le dépendance medievali intorno alla casa sono stipate di vasche di fermentazione in acciaio inossidabile controllate da un computer. I suoi vigneti, come quelli di Anselmi, si trovano esclusivamente nella zona del Classico, e i suoi vini sono da tempo apprezzati dagli intenditori di tutto il mondo per la purezza, la delicatezza e l’equilibrio. Il suo La Rocca, ottenuto da uve raccolte in un’unica vigna, è uno dei più grandi vini bianchi italiani. A differenza di molti Soave, i vini di Pieropan hanno la capacità di maturare per dieci anni e più, diventando sempre più minerali col passare del tempo. Sono la miglior dimostrazione possibile del fatto che vale la pena salvaguardare questa regione.
Qualche altro produttore offre vini degni di nota, per esempio i fratelli Graziano e Sergio Prà, il cui Soave Monte Grande, fatto con uve raccolte in un’unica vigna e con seri problemi di vertigine, è certamente uno dei migliori vini della regione. I fratelli Gini, Sandro e Claudio, offrono un Soave ricco e rotondo, così come Stefano Inama. Quest’ultimo propone un Soave standard molto buono, ma si è fatto rapidamente un nome con due vini poderosi creati con uve provenienti da un singolo vigneto e maturati in botte, il Foscarino e il Vigneto du Lot, reputati bizzarri da alcuni tradizionalisti per l’aroma che può ricordare uno Chardonnay da uve molto mature del Nuovo Mondo. Che vi piaccia o meno questo stile, è un eccellente antidoto all’idea del Soave come vinello diluito e noioso.
Qualche altro nome da provare: Cantina del Castello, Coffele e Suavia. Potrebbe esserci qualche altro buon produttore di cui non sono a conoscenza, ma i sei milioni e mezzo di bottiglie delle altre fonti sono probabilmente evitabili senza troppi rimpianti. La reputazione del Soave come serbatoio di un’acquetta a buon mercato opera a vantaggio del consumatore; le bottiglie standard dei migliori produttori vanno dai dieci ai quindici dollari, e i vini ottenuti da uve di un unico vigneto sono nella fascia dei venti. Sono perfetti bianchi estivi – soprattutto in un mercato come questo.