LA COSTA ARROSTITA DEL RODANO

Devo incontrare due diversi produttori della Côte-Rôtie lo stesso giorno nello stesso parcheggio della chiesa dello stesso minuscolo paesino – uno alle undici del mattino e l’altro alle due del pomeriggio. Niente di troppo complicato, se non che sono ex amici, ossia nemici mortali. Il loro distributore americano mi ha ripetutamente esortato a non menzionare il nome dell’uno all’altro – hanno rotto i rapporti dopo aver litigato per l’acquisto di un vigneto. Immagino sia questo che intende The Oxford Companion to Wine quando definisce la Côte-Rôtie “un focolaio di attività e ambizione”.

Fino a una ventina d’anni fa, nessuno si accapigliava per comprare terra sui ripidi fianchi della collina sopra Ampuis. La Côte-Rôtie, o “costa arrostita”, deve il suo nome all’esposizione a sud-est, che le regala uno splendido sole per far maturare l’uva. Questi declivi sopra il Rodano possono raggiungere una pendenza del cinquantacinque percento; i pittoreschi vigneti terrazzati, già coltivati in epoca romana, producono un vino celebrato per il profumo e la longevità, che ha attirato l’interesse degli intenditori da Plinio a Thomas Jefferson. Insieme all’Hermitage, una trentina di chilometri a sud, la Côte-Rôtie è il terroir principe per il Syrah, che secondo qualcuno è autoctono, anche se le sue origini sono oggetto di un’accesa disputa nelle cerchie degli ampelografi. Penso al Côte-Rôtie come a Fitzgerald rispetto a Hemingway dell’Hermitage; la reputazione del Côte-Rôtie, come quella di Fitzgerald, era quasi moribonda alla metà del secolo. I fianchi erti e rocciosi della collina richiedono un estenuante lavoro fisico, e dopo la Seconda guerra mondiale molti coltivatori abbandonarono le viti per piantare albicocchi.

Per quanto mi riguarda, qualunque vino sappia in qualche modo armonizzare le fragranze del lampone e del bacon – per non parlare di aromi come quello di violetta e cuoio – merita di essere salvaguardato. Il cavaliere senza macchia e senza paura di questa storia è Marcel Guigal, erede dell’azienda fondata dal padre nel 1946. Tradizionalmente, i vini della Côte-Rôtie si affidavano a un mix di uve di diversi appezzamenti sulla collina per conseguire complessità ed equilibrio. Il suolo di calcare sabbioso della Côte Blonde rivolta a sud conferisce finezza; quello della più vasta Côte Brune, più argilloso e ferroso, dona forza e longevità. Guigal cominciò a imbottigliare separatamente le uve dei suoi migliori vigneti, cominciando con La Mouline e La Landonne e proseguendo in seguito con La Turque. Fece maturare questi vini nel rovere nuovo per ben quarantadue mesi. Quando Robert Parker andò in estasi per tale new wave di Côte-Rôtie e diede loro il punteggio massimo, il mondo del vino si sedette sollevando le zampe anteriori e sbavando. Adesso sono tra i vini più pregiati – e costosi – del pianeta, e la loro fama si è trasmessa ai loro vicini.

Nonostante ciò, i vini di Guigal furono oggetto di accese discussioni; i romantici lamentavano il fatto che l’aroma del rovere nuovo mascherava le caratteristiche peculiari del Côte-Rôtie. L’importatore e autore Kermit Lynch, che lodava il Côte-Rôtie tradizionale per la sua seducente combinazione di vigore e delicatezza (la costa bruna e quella bionda), deplora il “mostro d’inchiostro e di rovere” di Guigal. Gli pare ironico che la denominazione sia stata salvata dall’oblio da un vino bizzarramente anomalo. La critica di Lynch ha un suo fondamento, anche se va detto che la vinificazione tradizionale del Côte-Rôtie dava fin troppo spesso luogo a sgradevoli aromi di vecchie e insalubri botti e sapori vegetali di raspi. E devo ammettere di andare pazzo per una buona annata di La Mouline o La Torque. Nel corso dell’ultimo decennio, molti hanno emulato Guigal: Yves Gangloff, Jean-Michel Gerin, Delas Frères, Tardieu-Laurent e l’azienda di Chapoutier all’Hermitage stanno producendo dei gran Syrah moderni. Il gruppo più nutrito, esemplificato dal domaine di René Rostaing, ha cercato un equilibrio tra il vecchio stile e quello nuovo. In effetti, negli ultimi tempi è cominciata una sorta di controriforma – alcuni dei Giovani Turchi sono pragmatisti che parlano molto di tradizione e raffinatezza.

Uomo dalla testa piccola e tonda, di corporatura massiccia e dal contegno militaresco, Eric Texier ha fatto furore tra gli enofili americani con la sua vendemmia di debutto di Côte-Rôtie del ’99. (Curiosamente, il novantacinque percento del vino viene esportato.) Originario della regione di Bordeaux ed ex ingegnere nucleare, Texier si recò inizialmente in Oregon e California per comprendere la prospettiva del Nuovo Mondo. Fu affascinato dalla regione del Rodano, e cominciò a studiare la letteratura del diciannovesimo secolo per individuare i migliori siti di vigneti. Texier usa un quaranta percento di rovere nuovo nel suo vino sontuoso ed elegante, che sfoggia sempre il gusto di lampone caratteristico della Côte-Rôtie.

La squadra formata da Michel Ogier e dal figlio Stephane è altrettanto pragmatica. Fino al 1980, Michel vendeva le sue uve ad altri produttori, compreso Guigal. Adesso, insieme al ventiquattrenne Stephane, che svetta sul padre dalla chioma rada e ispida e assomiglia molto a Brendan Fraser, produce seducenti Côte-Rôtie usando una combinazione di tecniche tradizionali e moderne. Un altro astro nascente di questa denominazione è l’ex amico di Texier Pierre Gaillard, un uomo socievole e bonario con le unghie delle mani sporche come quelle di qualunque contadino del posto, anche se è un cosmopolita che ha viaggiato in lungo e in largo e ama soppesare i rispettivi pregi dell’Opus One e del Margaux. (Preferisce il primo.) Gaillard ha lavorato come responsabile delle vigne per la vecchia azienda Vidal-Fleury, per la quale ha piantato il celebre vigneto La Turque. Ha lavorato per Guigal dopo che questi ha rilevato la Vidal-Fleury, e infine ha cominciato ad acquistare i propri vigneti, il più pregiato dei quali, Côte Rozier, ha prodotto uno dei migliori vini dell’annata 2000. Vale la pena di provare anche Burgaud, Clusel-Roch, Jamet, Bernard Levet e Jasmin, il Côte-Rôtie che porterei con me su un’isola deserta.

Il Côte-Rôtie impiega solitamente dai cinque ai dieci anni per realizzare tutto il proprio potenziale (e perdere quel fastidioso odore di gomma bruciata del Syrah giovane). Quanto alle annate più recenti, il 2001 è ormai un classico, mentre i focosi vini del 2003 sono più massicci, voluttuosi e arrostiti. Il 2005 potrebbe dimostrarsi superiore a entrambi. La denominazione Côte-Rôtie è una delle più ristrette della Francia, e il volume della produzione è minuscolo. Il Côte-Rôtie Brune et Blonde è l’unico vino prodotto in quantità sufficienti da apparire nei punti vendita al dettaglio di tutto il paese. La maggior parte degli altri Côte-Rôtie sono difficili da reperire, ed è meglio ordinarli in anticipo.