Nelson Mandela, Charlize Theron e Pinotage sono tra i contributi caratteristici del Sudafrica alla cultura globale. L’ultimo è un inverosimile ibrido di due vitigni francesi: il sofisticato, nobile Pinot Noir e il caparbio Cinsault – immaginate un figlio illegittimo di Jean Seberg e del membro del Congresso Bob Barr. Chissà cosa stava bevendo il professor Abraham Perold quando ebbe questa idea. Sebbene a volte possa puzzare di solvente per unghie au poivre, nei suoi esempi più riusciti il Pinotage migliora con l’età e riesce anzi a suscitare un godimento contemplativo.
Il modo migliore per scoprire se il Pinotage vi piace consiste nel cercare una bottiglia di Kanonkop, azienda vitivinicola situata a Stellenbosch. (Immagino che il nome abbia qualcosa a che fare con il cannone del diciassettesimo secolo che vi accoglie alla fine del viale d’accesso a questa splendida tenuta.) Kanonkop è per il Pinotage ciò che Petrarca è per il sonetto, anche se l’azienda produce pure un ottimo vino da un taglio in stile bordolese, che si è aggiudicato due volte il premio Pichon Longueville Comtesse de Lalande. Queste vittorie indicano chiaramente che i rossi sudafricani sono entrati sulla scena internazionale, ma la notizia ha raggiunto con estrema lentezza queste sponde.
Sono ormai diversi anni che il mio rosso sudafricano preferito è il Pinot Noir degli Hamilton Russell Vineyards, una proprietà sul fianco di una collina nella regione di Walker Bay, a meno di tre chilometri dall’oceano Indiano. L’azienda, relativamente recente in un paese la cui storia vinicola abbraccia quasi quattro secoli, è stata fondata nel 1976 da Tim Hamilton Russell, che lottò senza posa contro norme restrittive e irrazionali; adesso è guidata dal figlio Anthony, un derviscio rotante laureato a Oxford che ama definirsi un semplice contadino, anche se ho visto con i miei occhi la sua elegante presenza nelle sale da ballo da Città del Capo a Manhattan.
Il fresco microclima di questa zona, con i suoi babbuini predoni e il suolo argilloso costellato di utensili preistorici, produce il Pinot extraeuropeo più borgognone che abbia mai assaggiato, terroso, complesso e longevo come di rado se ne trovano al di fuori della Borgogna. L’azienda confinante di Bouchard Finlayson, avviata dall’ex enologo di Hamilton Russell, produce a sua volta un ottimo Pinot, così come la nuova venuta Flagstone, un’azienda da tener d’occhio anche per il suo Pinotage e i suoi vini da uvaggio.
I Cabernet e i tagli bordolesi fanno la parte del leone nell’attirare capitali ed energie, e la zona più calda di Stellenbosch è probabilmente la denominazione migliore per questi vini. Offre anche uno degli scenari naturali più sensazionali che abbia mai visto, dove le verdi vallate con lo stucco bianco delle fattorie nello stile coloniale olandese del Capo potrebbero quasi sembrare panorami fiamminghi, se non fossero incorniciate da vertiginose e aguzze creste montuose grigie. Il pioniere dei vini in stile Bordeaux al Capo è Meerlust, azienda vecchia più di tre secoli che produce rossi terrosi che maturano lentamente, tra cui segnalo un Merlot, e il suo alfiere, il Rubicon (da non confondere con l’omonimo vino di Francis Coppola). Qualche chilometro più avanti lungo la strada c’è un’altra storica azienda di Stellenbosch, Rustenburg, che produce autorevoli uvaggi a base di Cabernet dall’aroma di ribes che stanno attirando l’attenzione internazionale. Nelle vicinanze, Rust en Vrede offre ricchi, possenti Cabernet, Shiraz e Merlot e un assemblaggio di tutti e tre – che sembra essere la nuova tendenza al Capo. Nessuno di questi vini costerà quanto un buon cru bourgeois di Bordeaux della vendemmia 2003.
joint venture tra una delle famiglie più ricche del Sudafrica e il ramo del barone Edmond dei Rothschild francesi. Fino alla sua morte, avvenuta in un incidente d’auto, è stata diretta da Anthonij Rupert, la burbera pecora nera della famiglia con la stazza di Charles Barkley. Questa storica azienda sta producendo ottimi assemblaggi di Cabernet e Merlot con l’aiuto dell’ubiquo Michel Rolland di Pomerol. Rupert ci metteva a volte più tempo dei suoi vini a mostrare il proprio lato accattivante, ma ho passato con lui una giornata straordinariamente divertente parlando di vino, sartoria italiana e fauna africana dopo essermi presentato sul suo viale d’accesso senza preavviso, e mi ha molto rattristato sapere della sua scomparsa. La vinificazione resta nelle mani competenti di Schalk-Willem Joubert e Rolland. Un’altra azienda di grandi disponibilità finanziarie è la Vergelegen, di proprietà di quell’Idra che sono le Anglo-American Industries. L’enologo André van Rensburg, ingaggiato qualche anno fa, è arrivato con la reputazione di autorevole specialista di Shiraz, e sta piantando in abbondanza questo vitigno sempre più diffuso in Sudafrica, come del resto in qualunque altro posto. In effetti ritengo che i vini ottenuti dal matrimonio di Cabernet e Shiraz possano avere un grande e squisito futuro in Sudafrica.
Tra le innumerevoli ore che ho perso su strade secondarie delle regioni vinicole di tutto il mondo, dubito di essermi mai sentito tanto smarrito in una zona selvaggia come quando cercai la tenuta del golfista professionista David Frost sulle remote colline di Paarl. Frost fornisce pessime indicazioni, ma il suo Cabernet è una gran bomba di ribes. Lui è ciò che i sudafricani chiamano un rugger-bugger, uno sportivo dai modi rozzi e aggressivi, e che noi chiameremmo un amicone – un ospite generoso e affabile nonostante risentisse dei postumi di una lunga nottata in compagnia del suo buon amico Anthonij Rupert. Dopo gli strascichi dell’isolamento nell’era dell’apartheid, ora i vini rossi del Sudafrica, come le attrici e i golfisti, sono pronti a competere sulla scena internazionale.