IL VINO NERO DI CAHORS

Quando i beni del defunto Bill Blass furono messi all’asta da Sotheby’s, non potei fare a meno di interrogarmi sul destino di un particolare articolo – una medaglia che aveva ricevuto durante la cerimonia, tenutasi a New York cinque o sei anni prima, con cui veniva accolto nei Confrères des Chevaliers du Cahors. Quella sera fui a mia volta iniziato, anche se, a differenza di Blass, tale onore mi lasciò un po’ perplesso, e all’epoca sapevo a malapena dove fosse Cahors. Da allora ho visitato la regione e assaggiato molti dei suoi vini, e quando bevo i grandi “neri” di Cahors penso spesso a Blass, un omone che trasudava uno stile individuale ipermascolino.

Il Cahors è virile. Pietro il Grande ne fu uno dei tanti ammiratori, e il suo entusiasmo fu condiviso dai suoi compatrioti. Il “vino nero” di Cahors era rinomato per la sua potenza e concentrazione e veniva a volte usato per irrobustire i rossi bordolesi privi del nerbo necessario. Questo vino vigoroso e tannico di Bordeaux si è sviluppato accanto alla cucina gagliarda e grassa del sud-ovest: foie gras, cassoulet, confit e maigret de canard.

Dal Medioevo alla metà del diciannovesimo secolo i rossi di Cahors furono tra i più famosi d’Europa, finché i vigneti non furono devastati dalla fillossera. Quando i tentativi iniziali di innestare le uve Auxerrois locali su portinnesti americani resistenti alla piaga fallirono, molti coltivatori piantarono ibridi che producevano insipidi vins ordinaires. Verso la metà del secolo la gran bevanda d’inchiostro che fu le vrai Cahors era quasi estinta.

Dopo le devastanti gelate del 1956 e 1957, un uomo di Cahors chiamato José Baudel lasciò il suo posto al vertice del centro governativo di ricerca a Bordeaux per assumere la direzione della cantina cooperativa locale e salvare dall’oblio il vino della sua terra natia. Baudel si adoperò per bandire gli ibridi e propagare l’Auxerrois (noto altrove come Malbec), un vitigno ad alto contenuto tannico che sembra avere una particolare affinità con il suolo e il clima della valle del fiume Lot e dell’adiacente plateau.

Nell’ultimo decennio il Cahors è tornato alla ribalta, mentre i suoi produttori hanno tentato di conciliare le tradizioni con le nuove tecnologie e il mercato internazionale. “Dieci anni fa c’è stata una crisi di mezza età,” dice Ariane Daguin, proprietaria del D’Artagnan di New York, ristorante specializzato nella cucina della sua regione natia. “I vini, che si erano evoluti in simbiosi con quella cucina pesante, erano grossi e tannici. Quando la gente cominciò a mangiare più leggero, dovettero imparare ad alleggerirli un po’.” Detto ciò, il Cahors non sarà mai una bevanda leggiadra, adatta a un aperitivo. Non sarà mai un buon accompagnamento per un piatto di verdure al vapore, né è il caso di portarlo in spiaggia. Dovrebbe però incontrare il favore dei fautori delle diete altamente grasse e proteiche alla Atkins.

La gente del posto considera il Cahors il logico abbinamento del foie gras, e di gran parte dei piatti a base di tartufo nero – dato che il Cahors è più o meno il cuore del Périgord. Soprannaturalmente fanciullesco, Pierre-Jean Pebeyre appartiene a una famiglia che si occupa del commercio di tartufo da quattro generazioni; pranzando con lui e la moglie Babethe ho scoperto alcuni straordinari abbinamenti tra cibo e vino che vedono come protagonisti il tartufo nero e il Cahors. I Pebeyre mi hanno insegnato a fare un sugo di burro e caldo succo di tartufo (disponibile in lattina) con purè di tartufi neri, capace di erotizzare qualunque piatto, per quanto semplice.

Stendhal fece una volta notare la somiglianza tra questa parte della Francia e la Toscana e, come nelle colline del Chianti, qui la storia del vino è in parte quella di forestieri dalle grandi risorse finanziarie venuti a rianimare la zona. Alain Senderens, chef e in seguito proprietario del celebre ristorante Lucas Carton di Parigi, ha rilevato Château Gautoul nel 1992.

L’iperattivo Alain Dominique Perrin, ex presidente di Cartier che nel 1980 ha acquistato la tenuta Château Lagrézette con il suo imponente château del quindicesimo secolo, è diventato il Robert Mondavi della regione, il principale promotore e innovatore del Cahors. Pare conosca quasi tutte le persone di rilievo del pianeta, e ha le loro foto nello château a dimostrarlo. La sua cuvée di lusso Le Pigeonnier ha stabilito un nuovo standard, con alte valutazioni e un prezzo proporzionato. La superconcentrazione e il trattamento in rovere nuovo al cento percento fanno sembrare questo vino cosmopolita e raffinato quanto il suo proprietario, quasi stesse indossando un Cartier Panther intorno al collo; per certi aspetti preferisco però la normale cuvée di Lagrézette, che pare più caratteristica della regione, e non qualcosa che potrebbe arrivare dall’Australia.

Alain Gayraud, il proprietario di Lamartine, al margine occidentale della denominazione, ostenta uno sfrenato entusiasmo e usa ancora le vasche di fermentazione in cemento costruite dal nonno, impiegando di rado botti nuove di rovere. I suoi vini sono tra i più tipici che abbia incontrato durante la mia visita, nerboruti ma leggermente riservati, dato che richiedono tempo per rivelare il loro notevole fascino e il carattere distintivo della regione. Gayraud ne produce tre diversi, il più economico dei quali è anche il meno ostico appena messo in commercio, e lo stesso dicasi del vicino Domaine Pineraie, dove fanno vino senza soluzione di continuità dal 1456. Tra i domaine che val la pena provare ci sono Châteaux du Cèdre, Clos Triguedina, Croix de Mayne, Haute-Serre e Château Peche de Jammes, di proprietà degli americani Sherry e Stephen Schechter.

Come nel caso del Bordeaux, le annate da cercare sono il 2000, 2003 e 2005. Anche se questi vini saranno spiccatamente giovani e in qualche modo selvaggi, dovrebbero comportarsi bene in compagnia della cassoulet o di una fetta di manzo di prima scelta.