Giuseppe Rivetti, proprietario di La Spinetta, descrive la Barbera come “l’anti-Merlot” – un buon punto di partenza per un esame di questo vitigno regionale con una personalità multipla. È più facile dire quel che non è di quel che è. Interpreto la frase di Rivetti come un’affermazione del fatto che la Barbera non è il genere di morbida bevanda internazionale di cui si ordina un calice al bancone di una sala da cocktail, ascoltando un pianista che esegue cover di Billy Joel. Di sicuro le Barbera di Rivetti, con la loro rustica esuberanza e grintosa acidità, evocano più facilmente una chiassosa trattoria in cui regna l’odore di capretto alla griglia.
Parente povera del nobile Nebbiolo, la Barbera è da lungo tempo la bestia da soma del Piemonte, rappresentando oltre la metà della produzione di vino rosso della regione. La Barbera matura prima dell’esigente Nebbiolo, il vitigno usato per Barolo e Barbaresco, e veniva tradizionalmente piantata su pendii più freddi e terreni di minor pregio. (Lo scheletro nell’armadio del Piemonte è che la Barbera veniva – e secondo alcuni viene ancora – aggiunta al Barolo e al Barbaresco per rendere più intenso il colore e dare corpo.) La Barbera produceva solitamente un vinello rustico con un’acidità sufficiente a tener testa al sugo di pomodoro. Nella misura in cui era nota al di fuori della regione, era nota come vino per accompagnare la pizza. Difettando di tannini naturali – che prolungano la vita dei vini rossi – era pensata per esser consumata in gioventù, e di frequente.
Alcuni viticoltori romantici ebbero la visione che questa uva locale sarebbe potuta diventare la Cenerentola dei vini. Si domandarono se, con le cure adeguate, non avrebbe potuto aspirare allo status di diva. Cosa sarebbe successo se fosse stata piantata su terreni di prima scelta? E se avesse frequentato una scuola privata per signorine al fine di imparare il francese? Angelo Gaja, che ha rivoluzionato il trattamento del Nebbiolo, mi ha detto recentemente di esser stato il primo a fare esperimenti con la Barbera e le botti di rovere francese nel 1969, affinché il legno fornisse i tannini che mancavano all’uva. L’idea fu avanzata anche dall’enologo francese Émile Peynaud durante la sua consulenza a un’azienda vitivinicola di Asti negli anni settanta. Il merito di aver effettivamente messo lo scarpino di cristallo a questa Cenerentola viene quasi universalmente riconosciuto al compianto Giacomo Bologna, un nerboruto gaudente, amante delle moto e del jazz.
Originario della sonnolenta Rocchetta Tanaro, una quindicina di chilometri a est di Asti, Bologna ereditò una proprietà, la Braida, e sperimentò metodi che all’epoca sembravano radicali. Piantò la Barbera su pendii immersi nella luce del sole, colse le uve tardi, per mitigarne l’acidità, e fece maturare il vino in botti nuove di rovere francese sottoposto a tostatura, che ne ammorbidirono ulteriormente la spigolosità con i tannini del legno, conferendogli una maggior struttura. Nel 1982, lo stesso anno che cambiò il volto del Bordeaux, Bologna creò Bricco dell’Uccellone, una Barbera maturata in barrique che prendeva il nome dal vigneto d’origine e attirò l’attenzione del mondo vinicolo internazionale, nonché dei vicini di Bologna. Bricco dell’Uccellone fu la prima super-Barbera. Chiamatela Barberentola. (In Piemonte amano i soprannomi. Bricco dell’Uccellone prende il nome dalla vecchia con un’inquietante somiglianza con una cornacchia che possedeva un tempo il vigneto.)
A più di due decenni dalla creazione da parte di Bologna di tale stile nuovo, sofisticato e in smoking, è difficile generalizzare su questo vitigno, se non per dire che la qualità è migliorata a tutti i livelli. La Barbera è stilisticamente variabile come lo Zinfandel, altra uva da taglio che negli ultimi tempi sta raggiungendo la fama. Molti produttori continuano a fare Barbera nello stile più leggero – che può essere di grande pregio, soprattutto tenendo conto della recente serie di annate straordinarie in Piemonte. Le vendemmie 2000, 2002 e 2003 hanno raggiunto una maturazione che dovrebbe bilanciare la naturale acidità di questo vitigno; dei buoni esempi, come la Barbera d’Asti Superiore Michele Chiarlo e Barbera d’Asti Tabarin di Icardi, si vendono a circa quindici dollari a bottiglia. La Barbera d’Asti è spesso più grassa e fruttata della Barbera d’Alba, anche perché i migliori e più soleggiati pendii di Alba sono riservati al Nebbiolo con cui produrre Barolo e Barbaresco. Molti dei grandi produttori di Barolo – Scavino, Clerico, Mascarello, Sandrone e Aldo e Giacomo Conterno, tra gli altri – offrono una Barbera d’Alba agile e raffinata a un prezzo molto più contenuto del nobile cugino. Le Barbera più concentrate e robuste portano di solito il nome di un vigneto – che spesso comprende una qualche variazione sul termine bric, indicante la cima di un colle nel dialetto locale. Il prezzo è un altro indice chiave – le Barberentole, come il potente Montruc di Franco Martinetti, possono superare i cinquanta dollari.
Bricco dell’Uccellone si è dimostrato negli ultimi due decenni un vino serio, capace di maturare. La scorsa primavera, assaggiandoli con Raffaella e Giuseppe, i figli di Giacomo Bologna, sono rimasto profondamente colpito dalla complessità e dalla freschezza dei Bricco dell’Uccellone dell’89 e del ’90. Quello del 2001 è un altro classico. La famiglia Bologna produce altre eccellenti Barbera, compreso il Bricco della Bigotta e l’Ai Suma. Le Barbera più sbalorditive che abbia assaggiato di recente sono quelle di La Spinetta, che nel 2001 è stata l’azienda vitivinicola dell’anno per la bibbia enogastronomica italiana del Gambero Rosso. Ho ancora i denti macchiati dall’esperienza di quella primavera quando assaggiai la Barbera d’Alba Gallina del ’99 e la Barbera d’Asti della stessa annata; entrambe mi hanno per certi versi ricordato grandi Zinfandel di viti vecchie, e mi hanno anche ricordato una battaglia di more con due compagni di quinta elementare a Vancouver, in Canada. Mentre le raccoglievamo, dopo averne riempiti due secchi e mangiate diverse manciate cominciammo a tirarci quelle in eccesso. Trent’anni dopo, le Barbera di Giuseppe Rivetti mi hanno fatto sentire quasi altrettanto esuberante.