L’ASCESA DEL MALBEC
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I hear that South America is coming into style.
ELVIS COSTELLO


Il Malbec argentino non potrà forse eguagliare il tango e l’opera completa di Jorge Luis Borges come pietra miliare della cultura, ma a questo punto ritengo abbia raggiunto un terzo posto non troppo lontano dal vertice della classifica – soprattutto quando viene servito insieme al manzo alla griglia allevato al pascolo. Provare questa combinazione tra i raffinati ed eleganti habitué che cenano a tarda ora al ristorante La Cabaña di Buenos Aires, o ancor meglio in un asado – il tradizionale barbecue all’aperto – nell’aria limpida e sottile delle Ande significa flirtare con una sorta di primordiale beatitudine carnivora.

Con la sua tragica storia di dissesti nelle istituzioni politiche ed economiche che non le hanno permesso di realizzare le sue possibilità, l’Argentina è indietro di anni rispetto al vicino Cile quanto a produzione di vini di livello mondiale. Forse le sue risorse naturali e il suo potenziale sono però ancora più grandi. E se vitigni come il Cabernet Sauvignon e lo Chardonnay prosperano sugli aridi altopiani del versante orientale delle Ande, il Malbec – trascurato e quasi dimenticato nella sua terra d’origine, la Francia sudoccidentale – sembra aver trovato qui la sua patria d’adozione ideale. Per non parlare dell’ideale abbinamento con il manzo argentino.

L’Argentina è l’incubo peggiore dei vegetariani. È possibile trovare le insalate nei ristoranti alla moda di Buenos Aires, e le paste all’italiana e alla francese sono ampiamente diffuse, ma in linea di massima è il manzo – con un pizzico di maiale e agnello – quello che si mangia a pranzo e a cena. E in abbondanza. Il manzo allevato sui pascoli delle pampas infinite è più magro, fresco e saporito di quello americano. Gli argentini lo innaffiano da secoli con un vinello rustico ossidato, ma nell’ultimo decennio è stata data un’enfasi crescente ai vini di qualità per l’esportazione – i più interessanti dei quali sono senza dubbio i Malbec di vecchie viti. I migliori di questi rossi speziati e voluttuosi vengono prodotti in piccole quantità, anche se negli Stati Uniti è più facile trovare tali bottiglie che il manzo di qualità allevato al pascolo. E si armonizzano molto bene con una lombata di Angus nero o una costata a stelle e strisce.

Il Malbec veniva un tempo ampiamente coltivato nella regione di Bordeaux ed è l’elemento predominante di grandi, tannici, rustici vini di Cahors che godettero di notevole popolarità in Russia durante il regno di Pietro il Grande, ma in seguito hanno faticato a trovare un’identità. A un certo punto del diciannovesimo secolo il vitigno arrivò a Mendoza, circa novecento chilometri a ovest di Buenos Aires, oltre le sconfinate praterie delle pampas. La provincia è solcata da una complessa rete di canali, sviluppata inizialmente dagli indios Huarpe, che rinfresca la città e irriga i vigneti circostanti. Discendendo verso le pianure, i tratti più bassi delle pendici andine offrono una serie di microclimi adatti alle caratteristiche di maturazione di diverse uve.

Nella regione di Mendoza, circa tremila metri sopra il livello del mare, il Malbec pare aver trovato la sua patria ideale, raggiungendo una complessità e una ricchezza che lo candidano a diventare una delle grandi tipologie di vino del mondo. Il Malbec di Mendoza, soprattutto in gioventù, tende a essere una bestia molto più amichevole e tenera del Cahors, ed è quasi sempre più rotondo, ricco, meno asciutto e più completo del Cabernet Sauvignon dei vicini vigneti andini. Non che lo si possa confondere con un Merlot, che è inevitabilmente meno speziato e tannico – un valzer rispetto al focoso tango del Malbec.

Basti ciò per le generalizzazioni. Una degustazione di Malbec e uvaggi a base di Malbec di alta fascia cui ho partecipato al Terroir, una vineria di Buenos Aires che riceve solo su appuntamento, mi ha rivelato una vasta moltitudine di stili, per non parlare della gamma qualitativa, lasciandomi l’impressione che per il Malbec argentino i lavori siano ancora in corso. Le bottiglie che più mi hanno colpito erano vini “boutique”, plasmati da enologi europei: il Malbec Finca Altamira di Achával Ferrer del 2000, fatto con i frutti di viti di ottant’anni dall’enologo italiano Roberto Cipresso, e lo Yacochuya del 2000, creato dall’ubiquo, affabile genio di Michel Rolland da vigneti altrettanto annosi ed elevati nelle zone settentrionali. La minuscola produzione rende questi vini una fonte di ispirazione per i loro rivali più che una libagione di tutti i giorni per i bevitori americani.

Quasi altrettanto notevoli – e ampiamente disponibili qui – sono i Malbec di più alta fascia di Catena Zapata e Terrazas de Los Andes, due delle aziende vitivinicole più grandi e innovative di Mendoza. Catena Zapata, che opera all’interno di una struttura high tech a forma di piramide maya – pensate a I. M. Pei – presentò al mondo l’idea di un Malbec di Mendoza di lusso nei primi anni novanta. Il suo Catena Alta del 2000 è un degno successore delle precedenti annate, un gran vino corposo, terroso e speziato. Terrazas de Los Andes, finanziata da Moët-Hennessy, cominciò la produzione a metà degli anni novanta, anche se la sua bottiglia di punta, lo sbalorditivo e sensuale Gran Malbec, viene da vigneti vecchi di settant’anni che sono riusciti a sopravvivere alle frequenti grandinate che affliggono la regione. In collaborazione con il leggendario Châteaux Cheval-Blanc di Bordeaux, Terrazas produce anche un ricco, complesso e raffinato assemblaggio di Malbec, Cabernet e Petit Verdot – Cheval des Andes.

Quando sono andato a visitare Mendoza la scorsa primavera, imbattendomi in proprietarie di enoteche del Connecticut ed enologi francesi all’hotel Park Hyatt, non ho potuto fare a meno di pensare che fosse un po’ come vedere la Napa Valley negli anni settanta – gli albori di una grande scena vinicola internazionale. Forse non seducente quanto ammirare Carlos Gardel che rivoluzionava il tango nel quartiere di Abasto a Buenos Aires negli anni venti, e tuttavia piuttosto eccitante.