BLANC DE LISSART
LE MARIE

Come si dice, un vino di confine. Confine duro, poco letterario, una frontiera di silenzi: a poche decine di chilometri da questa vigna si sale alle solitudini del Pian del Re, dove nasce il Po, e poi, più su ancora, al Monviso. Barge, settemila anime all’ombra delle montagne, è l’ultimo luogo possibile per la vite procedendo verso le Alpi in questo angolo d’Italia.

Domina il paese uno strano castello che prende forma salendo da una roccia in riva al fiume come in una miracolosa metamorfosi che parta dall’informe. Una sua frazione, Assarti, ha fama legata al vino sin dal Medioevo.

«Dal 1203, esattamente» racconta Valerio Raviolo, il titolare di questa piccola azienda, che porta avanti con la moglie e i due figli dovendola raccontare ogni volta partendo da zero, tanto poco il suo territorio è conosciuto dal pubblico. Il Blanc de Lissart arriva oltretutto da un vitigno da noi mai sentito nominare prima, lavorato in purezza. Si chiama malvasia moscata, varietà aromatica locale chissà se più parente alle malvasie o ai moscati, ma evidentemente capace di farsi alleati la luce e il freddo. Chiaro e lucente nel bicchiere, profuma di uva, e va da sé, ma anche di salvia e mentuccia, pesca bianca e agrumi, e ha un sapore leggero, come trasognato. Invita alla conversazione, insomma, almeno quanto al consumo a pasto. Del millesimo in commercio, il 2015, abbiamo amato il nitore, la precisione, il garbo. Nell’etichetta, disegnata a mano, contro un cielo in cui flottano personaggi chagalliani, un gufo dagli occhi sbarrati s’è appollaiato su una canestra di uva e ci fissa: sembra dire «sbrigati a stappare, o prendo il volo con tutta l’uva». È vino raro, ma non introvabile: se ne fanno 9.000 bottiglie all’anno, e quindi la caccia a questo piccolo tesoro alpino ha buone possibilità di andare a buon fine, se condotta con determinazione.


«A poche decine di chilometri da questa vigna si sale alle solitudini del Pian del Re, dove nasce il Po, e poi più su ancora, al Monviso»