GATTINARA
MAURO FRANCHINO

Chi l’avrebbe detto, quarant’anni fa, che molte persone, luoghi, tradizioni coperte da un consolidato strato di polvere sarebbero state percepite dai ventenni e trentenni di oggi come il massimo della modernità, come una sorta di avanguardia luminosa e vitale... Se avessero mostrato a un giovane degli anni Settanta un filmato di Mario Soldati che si aggira nella valle del Po, tra botteghe artigiane e trattorie, si sarebbe fatto in pochi minuti ’na capa ’e suonno, come dicono a Napoli. Meglio così, ovviamente. Perché, al netto degli aspetti modaioli più superficiali, molte cose restano, molte cose vengono difese e tramandate. A proposito di Soldati, che presso i bevitori moderni è una sorta di rock star, forse non tutti sanno che (strano ma vero) tra tutti vini considerava il Gattinara «il più degno e aristocratico vino italiano».

Nel suo racconto Un sorso di Gattinara lo illustra con questi toni: «Ha un colore limpidissimo: rosso marroncino, che tira al giallo: ma quando ce ne resta soltanto una goccia in fondo al bicchiere, e lo guardi contro il bianco della tovaglia, ha il colore rosa scuro, rosa oro, rosa antico; la luminosità, a notte, dei portici di Gattinara.» Una descrizione che si adatta perfettamente al Gattinara di Mauro Franchino, tra i produttori più schivi e insieme più degni di nota del territorio. Un vino austero, lento nell’aprirsi nel bicchiere, ma via via più trascinante sia all’olfatto che al gusto.

Il 2011, uscito da poco, è un vero capolavoro di equilibrio tra lati ombrosi e terragni (humus, sottobosco, liquirizia) e lati di luce (fiori, piccoli frutti rossi freschi, mandarino). Aprite la bottiglia, fatevi una passeggiata, poi una doccia, poi preparate la cena, poi accogliete gli ospiti e offriteglielo: il tutto in quest’ordine, eh.


Quando ce ne resta soltanto una goccia in fondo al bicchiere, e lo guardi contro il bianco della tovaglia, ha il colore rosa scuro, rosa oro, rosa antico; la luminosità, a notte, dei portici di Gattinara